martedì 30 novembre 2010

IL PAPA E L'EBRAISMO IN "LUCE DEL MONDO"


Ringrazio l'amico Colafemmina per il testo che segue e che ha gentilmente riportato nel suo Blog Fides et Forma

Formazione e importanza dei rapporti con l'ebraismo pp.122-123

La Sua elezione a 265esimo Capo della Chiesa universale fu accolta con particolare entusiasmo dalle organizzazioni ebraiche. Secondo Israel Singer - allora Presidente del Congresso Ebraico Mondiale - Joseph Ratzinger, quando era Prefetto della CDF, aveva gettato le fondamenta per una avvicinamento fra le due religioni e ha "cambiato in senso positivo la storia bimillenaria dei rapporti fra Ebraismo e Cristianesimo."
Lei è stato il primo Papa a invitare un Rabbino a parlare di fronte al Sinodo dei vescovi. Ha sospeso il processo di beatificazione di un sacerdote francese al quale erano stati attribuiti discorsi antisemiti. Ha visitato più sinagoghe di qualsiasi altro Papa. Il quotidiano "Suddeutshche Zeitung" scrisse allora: "Egli riconosce l'origine ebraica del Cristianesimo come mai nessun altro Papa prima di lui".
Inoltre, il Suo primo atto quale Successore di Pietro è stata una lettera alla comunità ebraica di Roma. Si trattò di un gesto simbolico che voleva essere indicativo di una nota dominante del Suo Pontificato?


Senza dubbio. Devo dire che sin dal primo giorno dei miei studi teologici mi è stata in qualche modo chiara la profonda unità fra Antica e Nuova Alleanza, tra le due parti della nostra Sacra Scrittura. Avevo compreso che avremmo potuto leggere il Nuovo Testamento soltanto insieme con ciò che lo ha preceduto, altrimenti non lo avremmo capito. Poi naturalmente quanto accaduto nel Terzo Reich ci ha colpito come tedeschi e tanto più ci ha spinto a guardare al popolo d'Israele con umiltà, vergogna e amore.
Nella mia formazione teologica queste cose si sono intrecciate ed hanno segnato il percorso del mio pensiero teologico. Dunque era chiaro per me - ed anche qui in assoluta continuità con Giovanni Paolo II - che nel mio annuncio della fede cristiana doveva essere centrale questo nuovo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere di ognuno e della rispettiva missione.

Il Suo predecessore definiva gli ebrei "nostri fratelli maggiori" mentre Lei parla di "Padri nella fede".

L'espressione "fratello maggiore", già utilizzata da Giovanni XXIII non è particolarmente bene accolta dagli ebrei perché nella tradizione ebraica il "fratello maggiore", ovvero Esaù, è anche il fratello abietto. La si può comunque utilizzare perché esprime qualcosa di importante. Ma è giusto che essi siano anche nostri "Padri nella fede". E forse quest'ultima espressione descrive con maggiore chiarezza il nostro rapporto.


La preghiera del Venerdì Santo pp. 154-155

D'altro canto, la decisione (di liberalizzare la Messa Antica) ha provocato una controversia relativa alla preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei contenuta nella Messa Antica. Jacob Neusner, Rabbino di New York nonché storico, ha difeso questa preghiera spiegando che essa "rientra nella logica del monoteismo". Anche gli ebrei praticanti pregherebbero tre volte al dì affinché un giorno tutti i non ebrei invocheranno il nome di JHWHs.
Infine nel febbraio 2008, Lei ha riformulato il testo della preghiera. Può comprendere le argomentazioni dei suoi critici?

In primo luogo sono molto grato al signor Neusner per quello che ha detto perché è veramente utile. In secondo luogo, questa preghiera non riguarda la liturgia con il nuovo messale, ma soltanto le ristretta cerchia di coloro che utilizzano il messale antico. Quindi nulla si è modificato della liturgia in generale. Comunque, a quel punto, anche nella antica liturgia mi è sembrato necessario un cambiamento. Infatti, la formula era tale da ferire veramente gli ebrei e di certo non esprimeva in modo positivo, la grande, profonda unità fra Vecchio e Nuovo Testamento. Per questo motivo ho pensato che nella liturgia antica fosse necessaria una modifica, in particolare, come ho detto, in riferimento al nostro rapporto con gli amici ebrei. L'ho modificata in modo tale che vi fosse contenuta la nostra fede, ovvero che Cristo è salvezza per tutti. Che non esistono due vie di salvezza e che dunque Cristo è anche il Salvatore degli ebrei, non solo dei pagani. Ho inteso anche evitare che non si pregasse direttamente per la conversione degli ebrei in senso missionario, ma perché il Signore affetti l'ora storica in cui noi tutti saremo uniti. Per questo gli argomenti utilizzati da una serie di teologi contro di me sono avventati e non rendono giustizia a quanto fatto.


Viaggio in Terrasanta e missione comune con Israele pp.179-181

Il suo viaggio in Terra Santa era previsto per il mese di maggio del 2009, quindi in mezzo alla bufera provocata dal caso Williamson. Si guardava a quel viaggio con grande preoccupazione. Eppure, proprio come a suo tempo era accaduto con il viaggio in Turchia - che si era svolto mentre infuriavano le polemiche sul "Discorso di Ratisbona" - la visita in Terra Santa ebbe un esito sorprendente. L'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, affermò che grazie a quel viaggio i rapporti erano molto migliorati. E citò un versetto dal Libro dei Giudici: "Dal forte è uscito il dolce".

La tensione con Israele non era uguale a quella registrata in Germania, con Israele c'è sempre stato un rapporto di fiducia reciproca. Israele sa che il Vaticano appoggia Israele, appoggia l'ebraismo nel mondo, sa che noi riconosciamo gli ebrei come nostri padri e fratelli. Per me è stato molto commovente l'essere ricevuto con tanta cortesia dal Presidente Peres che è una grande personalità. Egli stesso porta un ricordo doloroso: suo padre fu imprigionato in una sinagoga che poi fu data alle fiamme. Mi ha incontrato con grande disponibilità, sapendo che lottiamo per valori comuni , per la pace e per la costruzione di un futuro nel quale l'esistenza di Israele ha un ruolo importante .
In generale l'ospitalità è stata squisita. Direi che forse ero troppo protetto. La protezione accordatami è stata imponente. Ma in Israele abbiamo potuto celebrare due grandi liturgie eucaristiche all'aperto, cosa che a Giovanni Paolo II non era stata possibile. La prima si è svolta a Gerusalemme, la seconda, molto commovente, a Nazaret, sul Monte del Precipizio. E' stata una manifestazione grande e visibile di fede cristiana nello Stato di Israele.
E poi naturalmente tocca sempre il cuore visitare i luoghi dell'Annuncio, quello della Natività, quello della Crocifissione, il Sepolcro. Lì ho potuto incontrare anche le altre comunità cristiane. Sono state tutte esperienze grandi e commoventi. Infine ho visitato anche la Giordania e i territori palestinesi, e ho instaurato un rapporto molto cordiale con il Re di Giordania e con tutta la Casa reale. Mi ha donato più di cento bottiglie di acqua del fiume Giordano da utilizzare per l'amministrazione dei battesimi.
Nei Territori Autonomi Palestinesi ho avuto un incontro che mi ha impressionato: ho incontrato bambini, i cui genitori sono prigionieri in Israele. Così abbiamo visto anche l'altro lato del dolore; emergendo così in generale un ampio panorama di dolore, da entrambe le parti.
Risulta dunque chiaro che con la violenza non si risolve nulla, che l'unica soluzione è la pace e che deve essere fatto tutto il possibile affinché entrambe le parti possano vivere insieme pacificamente in quella terra martoriata.



Sul caso Williamson pp.174-175

Se avesse saputo che fra quei vescovi (consacrati da Lefebvre ndr) ve ne era uno che negava l'esistenza delle camere a gas naziste, avrebbe firmato la revoca di scomunica?

No. Si sarebbe innanzitutto dovuto separare il caso Williamson dagli altri, ma purtroppo nessuno di noi ha guardato su internet e preso coscienza di chi si trattava. [da quando il revisionismo storico riguardante la shoah rientra nei dogmi della Chiesa?]

Ma prima di revocare una scomunica non si dovrebbero passare alla lente di ingrandimento le persone e il loro cambiamento di vita, a maggior ragione se si tratta di una comunità che, a causa del suo isolamento, ha avuto uno sviluppo discutibile, sia dal punto di vista teologico, sia da quello politico ?

E' giusto affermare che Williamson è una figura particolare in quanto non è mai stato cattolico nel senso proprio del termine. Era anglicano e dagli anglicani è passato direttamente a Lefebvre. [dunque Lefebvre non era cattolico?] Significa che non ha mai vissuto in comunione con tutta la Chiesa universale, in comunione con il Papa.


Dunque per il Papa gli ebrei oltre ad essere fratelli maggiori, termine per noi errato di per se, sono addirittura "padri nella fede" (Sic!).
Come giustamente commenta il prof. Pastorelli: Addirittura gli ebrei ci son "padri nella Fede". 
Mah, al centro della nostra fede c'è Cristo. E si diventa figli di Dio secondo quanto dice S. Giovanni nel Prologo del suo Vangelo:
In propria venit, et sui eum non receperunt. Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri; his qui credunt in nomine eius, qui non ex sanguinibus, neque ex voluntate carnis, neque voluntate viri, sed a Deo nati sunt.
Più leggo e più mi convinco che il libro non avrebbe dovuto esser pubblicato.
E continuando dice: C'è da chiedersi: perché si deve direttamente e con spirito missionario pregare per gli eretici, gli scismatici e gl'infedeli d'ogni genere? Non basterebbe pregare per affrettare l'ora storica in cui tutti saremo uniti?
Se fossi protestante o ortodosso mi sentirei offeso da questa mancanza di sensibilità, da questa diversità di trattamento...
A suo tempo ho scritto parecchio, anche in difesa del Papa, contro gli attacchi per le modifiche apportate alla preghiera del Venerdì Santo, proprio perché vi si ribadisce che Cristo resta la salvezza di tutti. Ma dinnanzi ad una simile spiegazione francamente si resta spiazzati.
Certo tanti teologi non capiscono proprio niente. Ma chi li forma? in quali università pontificie studiano? ed i professori da chi son chiamati in cattedra? e perché ve li si mantengono?

Non posso che concordare con il Prof. Pastorelli ed è anche per questo che non acquisterò il suddetto libro.

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