venerdì 10 dicembre 2010

L'omelia del card. Bartolucci a Trinità dei Pellegrini. Con una stoccata a Palombella.

Cari fratelli e sorelle,

Mi ha fatto molto piacere l’invito da parte di Padre Kramer a presiedere questa solenne celebrazione; voglio quindi anzitutto ringraziare lui per il gentilissimo pensiero. Confesso che all’inizio sono stato un po’ incerto, poiché alla mia età, pur desiderandolo, non è sempre facile venire incontro a tante richieste, né lavorare con lo stesso impegno e la stessa forza di quando ero più giovane. D’altra parte confidando nel Signore e nella Sua Santissima Madre che oggi veneriamo particolarmente come Vergine Immacolata, ho voluto accettare per poter offrire anche io il mio contributo come musicista, soprattutto in questo momento in cui il Santo Padre mi ha aggregato al Collegio cardinalizio.

La notizia della mia nomina ha rappresentato per me una profonda scossa interiore e le parole pronunciate dal Santo Padre nel corso dell’omelia nella Solennità di Cristo Re mi hanno invitato a rinnovare ed approfondire ancora la mia fede nel Signore ora più che mai chiamato, come cardinale, ad un legame stretto con il successore dell’apostolo Pietro.

Per questo, come in tutta la mia vita, voglio ancora riferirmi a Maria e trovare in lei la fonte di ispirazione per me stesso, onde rafforzare la mia fede e metterla a servizio della Chiesa e del popolo cristiano.

Nel mio sacerdozio non sono stato un predicatore, un teologo, né un pastore di una diocesi e non ho pronunciato mai grandi discorsi, tuttavia ho cercato di mettere a frutto i doni che il Signore mi ha dato e l’ho fatto attraverso la musica sacra, una nobile arte capace di penetrare efficacemente nell’animo dei fedeli, invitandoli alla conversione, alla gioia, alla preghiera.

In particolare nella civiltà occidentale la musica è l’arte che più di ogni altra deve ringraziare la Chiesa. In essa infatti è nata, è cresciuta e si è sviluppata. Come ebbi modo di dire già in occasione del Concerto offerto al Santo Padre nella Cappella Sistina, le cantorie hanno rappresentato la culla dell’arte musicale. La chiesa stessa dei primi secoli non appena ebbe la possibilità di rendere gloria al Signore pubblicamente si impegnò nella creazione delle scholae cantorum che via via nei secoli ci hanno lasciato in eredità il patrimonio del canto sacro, il canto gregoriano e la polifonia, strumenti autentici di predicazione, che spesso proprio per la loro intensità riescono a far percepire il messaggio contenuto nella parola di Dio.

Questo patrimonio che oggi dobbiamo necessariamente recuperare e che purtroppo è stato trascurato, non ha mai inteso costituirsi come ornamento della celebrazione liturgica [evidente riferimento critico alle scriteriate affermazioni del nuovo direttore della Sistina, Palombella, secondo il quale  "Con la Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II la musica non si pone più come un elemento "ornamentale" del rito ma è costitutiva della stessa Azione Liturgica"]. Il cantore, come ci hanno insegnato i nostri maestri del passato, è semplicemente un ministro che esprime e rende vivo al meglio il testo sacro e la parola di Dio. Troppo spesso noi musicisti di chiesa siamo stati accusati di voler impedire la partecipazione dei fedeli ai sacri riti e io stesso come Direttore della Cappella Sistina ho dovuto affrontare momenti difficili nei quali la santa liturgia subiva banalizzazioni e aride sperimentazioni. Oggi più che mai dobbiamo assumerci la responsabilità di analizzare criticamente quanto è stato fatto e dobbiamo avere il coraggio di ribadire l’importanza delle nostre tradizioni di bellezza che esaltano e danno gloria a Dio e sono anche efficaci mezzi di conversione. Ricordo in occasione dei Concerti della Cappella Sistina l’entusiasmo della gente, addirittura in paesi come la Turchia ed il Giappone dove furono registrate diverse conversioni al cattolicesimo. "Chi non ama la bellezza non ama Dio!" ha detto il Santo Padre in una delle sue omelie. Dobbiamo perciò saperci riappropriare di noi stessi e di quanto la tradizione ecclesiale ci ha donato.

Come ha scritto Benedetto XVI alla vigilia dell’assemblea generale dei vescovi riunita ad Assisi lo scorso mese di novembre: "Ogni vero riformatore è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato". Volendo seguire questa descrizione possiamo guardare proprio la figura di Maria: fu lei la prima custode del Verbo incarnato, la serva del Signore che seppe agire sempre secondo la sua volontà.

Come Maria, anche noi siamo chiamati ad essere obbedienti nella fede, senza muoverci in modo arbitrario, ma sapendo accogliere quanto ci è stato consegnato. Questa è la nostra forza, questa è la forza sempre nuova del cristiano che come San Paolo trasmette ciò che ha ricevuto dalla sorgente di grazia che per lui come per noi è l’incontro con il Signore.

Anche per questo trovarmi qui, nella Chiesa della Trinità dei Pellegrini, dove è vivo l’impegno in favore della diffusione della liturgia tradizionale è per me motivo di gioia e di speranza che mi fa toccare con mano alcuni frutti seguiti alla pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum.

In un momento difficile siamo tutti chiamati nel nostro servizio ad unirci al successore di Pietro: come Pietro anche noi dobbiamo convertirci al Signore crocifisso e risorto, non scoraggiandoci mai davanti alla realtà della croce e con la certezza di condividere un giorno la sua stessa resurrezione.

Questo, prima del nostro, è stato il cammino di Maria, un cammino che la Chiesa ha cercato di proporre come modello e che proprio i fedeli hanno voluto esaltare ed esprimere nella ricchissima devozione popolare. Anche io tra le musiche composte fin da quando ero giovane seminarista, ho dedicato larga parte proprio a Maria. La Festa dell’Immacolata mi fa pensare a tanta musica scritta in onore della Madonna: messe, laudi, mottetti, magnificat, stabat mater, ma mi fa pensare soprattutto alle numerose antifone mariane che il popolo aveva saputo far proprie e che cantava in onore della Madre celeste trovando in lei l’icona della fede.

Maria allora come ora rimane l’immagine più bella e perfetta della fede, poiché nella sua vita ha saputo sempre riconoscere e seguire Gesù: Lei fu capace proprio nella fede di dire sì all’annunzio dell’angelo che le partecipava il disegno di Dio; lei fu discepola fedele di suo Figlio vivendo accanto a lui "serbando e meditando tutto nel suo cuore"; lei proprio per questo poté diventare strumento di grazia di suo Figlio come quando ordinò a Cana di Galilea "fate come vi dirà". Pur non vedendo mai il tutto, Maria prega, si abbandona e confida in Dio: "Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum".

Allo stesso cammino furono invitati i discepoli, San Pietro, la chiesa nascente di allora e quella di oggi: nella nostra inadeguatezza siamo tutti chiamati a riconoscere, credere, pregare ed affidare la nostra vita a Dio per essere uniti a lui, per essere con lui prima sulla croce, nel momento della spada che trafigge la nostra anima, poi nella gioia della resurrezione.

Con questi sentimenti uniamoci fin d’ora al Santo Padre nell’atto di omaggio che renderà questo pomeriggio alla Statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna.

Preghiamo Maria e attraverso di lei il Signore perché la nostra fede non venga meno, ma possa essere testimoniata efficacemente e contribuire alla edificazione della chiesa. Viviamo come Maria in un perenne rendimento di grazie, cantando con lei: Magnificat anima mea Dominum et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo. AMEN

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