sabato 25 dicembre 2010

Status quaestionis

 
 
Il Vaticano II non fu la causa, ma il mezzo principale con cui i novatori portarono a compimento un passo determinante nella distruzione della Chiesa. Novatori che erano ben infeudati nella Curia Romana e negli Atenei Pontifici già da decenni. La loro opera - da quella del Card. Bea con la sua discutibile versione del Salterio a quella di Bugnini & compagni con la riforma della Settimana Santa e del Calendario - erano solo anticipazioni di un ben più devastante attacco che si stava preparando. Per questo Pio XII era così fermamente ostile all’indizione del Concilio ed aveva avocato a sé la Prefettura di quasi tutti i Dicasteri romani: sapeva benissimo cosa si stava preparando, anche sul fronte politico, con l’opera di Montini che, all’epoca Sostituto della Segreteria di Stato, maneggiava sottobanco coi regimi comunisti, meritando l’amoveatur a Milano senza il premio della Sacra Porpora, che solo Giovanni XXIII significativamente gli concesse.

Senza il Concilio, pare difficile immaginare un Pio XII, un Giovanni XXIII e forse anche un Paolo VI che proclamassero come Pastori universali le dottrine equivoche che, proprio per la loro formulazione, il Concilio fece proprie. Eppure i fautori della rivoluzione conciliare erano tutti già al lavoro da un bel pezzo, e l’azione di San Pio X contro le infiltrazioni moderniste era stata velocemente vanificata con la soppressione del Sodalitium Pianum e la demonizzazione dei suoi membri.

Il Vaticano II fu atto politico ancor prima che religioso, dottrinale e disciplinare. Esso utilizzò gli stessi mezzi che si rivelarono tanto efficaci dalla Rivoluzione Francese in poi: sotto il pretesto pseudodemocratico della volontà popolare, di cui erano involontari rappresentanti i Padri Conciliari, una lobby di progressisti astuti ed espertissimi riuscì a manipolare e a stravolgere gli schemi preparatori dell’assise e a sostituirli con nuovi schemi intrisi di modernismo, di pacifismo d’accatto, di equivoche formulazioni di dottrine eterodosse espressamente concepite per trarre in inganno i Vescovi di tutto il mondo, che credevano in buona fede di partecipare ad un momento di trionfo della Cattolicità, e non alla sua capitolazione. Essi eran convinti di essere i protagonisti del Concilio, non i meri esecutori di decisioni prese nelle Commissioni, in cui le votazioni procedevano con le modalità di un collettivo marxista.
 
Il Vaticano II fu atto politico perché a chi ne aveva preso le redini non interessava dare valutazioni circa i gradi di impegno del Magistero, circa la pastoralità o la dogmaticità del Concilio, circa il grado di ossequio da tributargli. Importava solo farlo, e farlo con l’appoggio della stampa e dell’opinione pubblica, dimostrando che dopo decenni di governo monarchico la Chiesa sapeva essere democratica, assemblearista, finalmente soggiogata alla maggioranza del numero e svincolata dalla dittatura di un Papa del quale si voleva sminuire il potere. Tant’è vero che lo stesso Concilio partorì la dottrina eterodossa secondo cui il soggetto dell’infallibilità pontificia non è il solo Pontefice Romano, ma anche quel fantomatico collegio episcopale che non ha alcuna base né nella Scrittura né nella Tradizione. Come non vedere un’intenzione democratizzante in questi eventi, abilmente compendiati dalla deposizione della tiara da parte di Paolo VI? 
 
Il Concilio fu per la Chiesa ciò che furono per la Francia gli Stati Generali del 1789. E il Giuramento della Sala della Pallacorda si ebbe poco prima nelle Commissioni, dalle quali fu de facto estromesso il Papa, proprio come era stato estromesso il Re dall’Assemblea Nazionale. Questi eventi - al pari della sequenza di riforme liturgiche che ricalca pedissequamente le innovazioni dei luterani nel Cinquecento - dimostrano che i nemici della Chiesa hanno una grandissima esperienza politica e che sanno ordinare con intelligenza i mezzi al fine che si prefiggono. E visto che la Rivoluzione aveva dato i suoi esiti, perché non sperimentarne le potenzialità anche in seno alla Chiesa?
 
La lobby progressista non voleva definizioni dottrinali, non voleva condannare il Sillabo o la dottrina sulla Messa, non voleva far approvare ai Padri dei canoni in cui si scomunicava chi professava di credere nel dogma delle Indulgenze o del Purgatorio. Voleva esattamente il contrario: eliminare alla radice il concetto stesso di canoni, dottrina, formule teologiche ecc. sostituendolo con una profluvie di espressioni equivoche, manipolabili, volutamente interpretabili in un senso e nel senso contrario: vedasi il famigerato subsistit in, ad esempio. Fu proprio questa equivocità a permettere l’approvazione di documenti controversi - Dignitatis humanae, Lumen gentium ecc. - che potevano esser suscettibili di interpretazione cattolica, ed al tempo stesso ammiccavano al protestantesimo, al relativismo, al modernismo, all’umanismo massonico...

Quanti insistono ad interrogarsi se prestare o meno ossequio al Vaticano II, se considerarlo pastorale o dogmatico non hanno colto il problema nella sua essenza: il Concilio celebrato a Roma tra il 1962 al 1965 fu un concilio anomalo, volutamente svincolato dalle norme disciplinari e dalle basi dottrinali di un qualsiasi altro concilio ecumenico. Volerlo far rientrare a forza nel novero dei normali concili, cercando di districarsi tra ciò che afferma e ciò che nega, tra ciò che non dice e ciò che insinua, è una perdita di tempo e non porta a nulla, anzi finisce col conferire a questa disastrosa assise un valore che non doveva avere nemmeno per i suoi organizzatori e manovratori. Allo stesso modo, a che pro interrogarsi sulle basi giuridiche e legali della Rivoluzione, dal momento che si ricorre ad essa proprio in quanto evento al di fuori delle regole, in cui non importa altro se non il dopo?

Sia chiaro: chi ha preso le redini del Vaticano II sapeva benissimo che, al di là delle disquisizioni teologiche sul valore disciplinare del Concilio stesso, esso avrebbe rappresentato un evento epocale - e tale fu senza dubbio, ma in senso negativo - e che ciò che sarebbe successo dopo non sarebbe stato più giudicato sulla base delle vecchie categorie canoniche. Si sapeva benissimo che, dopo la valanga conciliare, il cattolicesimo ancien régime sarebbe scomparso, sepolto dalla pseudodemocrazia instaurata anche nella Chiesa. Nessuno avrebbe dovuto chiedersi cosa c’era prima del Concilio, perché la damnatio memoriae sarebbe stata di tale peso da non consentire alcuna possibilità di vera restaurazione, proprio come avvenne in Francia.  
 
E va detto con altrettanta chiarezza che il pretesto democratico del Vaticano II non avrebbe assolutamente garantito un reale potere alla base dei fedeli o del clero, al contrario: esso doveva invece consolidare il potere di pochi personaggi, spesso dissimulati dietro anonimi organismi consultivi, che essi avevano usurpato al Papa e alle Congregazioni Romane. Anche nella realtà politica europea il parallelo è inquietante: le sedicenti democrazie non consentono alcuna possibilità di governo popolare, ma rinforzano invece il potere di lobbies economiche e filosofiche dalle quali nessuno, in condizioni di concreta democrazia, vorrebbe mai esser governato. 

L’infausto evento conciliare ha naturalmente avuto un effetto principalmente emotivo sul clero e sui fedeli: le migliaia di cappelli romani gettati dai preti e dai seminaristi di Roma nel Tevere alla chiusura del Vaticano II sono un fatto indicativo di uno stato d’animo diffuso, al di là della reale consapevolezza della portata dottrinale di questo o quel documento. Tutto era cambiato, tutto era diverso, tutto era permesso di quanto sino ad allora era proibito o deprecato. 
 
E mentre nei Dicasteri romani si procedeva a nomine strategiche di Vescovi e Prelati e si apriva silenziosamente la caccia alle streghe - iniziata già in pieno Concilio con l’inverecondo oltraggio al Card. Ottaviani, messo grabatamente a tacere nell’aula della Basilica Vaticana - nelle Commissioni si portava a compimento l’opera con la riforma liturgica, già iniziata negli anni Cinquanta, e anche in quel caso non si voleva assolutamente dare un documento normativo definitivo, da osservare scrupolosamente, ma semplicemente concretizzare anche nel culto pubblico della Chiesa il clima di anarchia generale, l’apoteosi dell’ad libitum. Solo alla luce di questo si comprende come mai furono così pochi i Messali stampati in latino: era chiarissimo che le petizioni di principio della Sacrosanctum Concilium sulla lingua latina e sul canto gregoriano non avevano minimamente scalfito i progetti di chi voleva protestantizzare la liturgia cattolica per protestantizzare in toto il Cattolicesimo. 
 
Se il Concilio fosse stato veramente un atto del Magistero, e se come tale lo avessero riconosciuto i Papi che ne furono strenui difensori, sarebbe stato semplicissimo ordinare a Bugnini di attenersi al dettato conciliare e di mantenere il latino in tutta la liturgia, così come in precedenza ci si poteva appellare ad un canone del Concilio di Trento, di Ferrara-Firenze, o di Nicea per confutare un errore teologico o disciplinare. Ma il Vaticano II, con il comodo passe-partout della pastoralità, si era svincolato da questa visione canonicistica e doveva essere solo il brogliaccio su cui portare definitivamente a termine la demolizione della Chiesa. In questo senso, fu determinante il ruolo dell’autorità, o se si preferisce la sua latitanza quando si trattava di punire i più esagitati interpreti del Concilio; e come recita l’adagio - nullum jus sine poena - è evidente che la mancata applicazione delle norme canoniche e delle leggi ecclesiastiche trovava ieri e trova ancor oggi un ottimo incentivo allo sfascio proprio nella mancanza di punizioni per chi non le rispetta. Indicativamente la severità delle sanzioni, delle sospensioni a divinis e delle scomuniche non è venuta meno contro quanti, in questo capovolgimento della fede e della preghiera, volevano rimaner ben saldi a quanto era stato loro insegnato prima del Vaticano II: anche in questo caso le analogie con i metodi di epurazione della Rivoluzione Francese paiono quantomai appropriate.

Il lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II ha portato a compimento le istanze dei novatori, forse oltre le loro stesse aspettative. Mai e poi mai Paolo VI avrebbe osato immaginare il Vicario di Cristo intento a pregare assieme ai rappresentanti delle false religioni, mai e poi mai avrebbe nemmeno ipotizzato di lasciarsi marchiare col segno di Shiva sulla fronte, o di baciare il Corano come i Cattolici baciano il Santo Vangelo. Ma la coerenza di questi gesti teatrali con lo spirito del Concilio - tipici di un personaggio che sapeva bene come far colpo sulle masse - è evidentissima. Senza il pantheon di Assisi e tutte le abominevoli riunioni ecumeniche che ne sono seguite la società moderna non avrebbe fatto proprio il relativismo umanista della Massoneria, men che meno i Cattolici. Senza l’opera del Card. Casaroli, molte nazioni avrebbero ancora il Cattolicesimo come Religione di Stato, al quale rinunziarono non per le pressioni dei Liberi Muratori, ma per quelle della Segreteria di Stato, che voleva realizzare le istanze conciliari portandole alle estreme conseguenze. In molti casi, per una beata illusione di poter mantenere il potere politico e spirituale sulle masse anche senza l’appoggio delle leggi nazionali, il Vaticano era convinto di dar prova di liberalità e di apertura mentale, ma è evidente oltre ogni dubbio che se i politici cattolici non fossero stati indottrinati dalla Gerarchia in materia di libertà religiosa, ecumenismo e laicità dello Stato, difficilmente le Nazioni oggi verserebbero nello sfacelo ch’è sotto gli occhi di tutti. Il merito va tutto alla Chiesa, anzi: al Concilio e ai Papi che ne sono stati propugnatori. Il rapporto di causalità è inoppugnabile. Ed è inoppugnabile anche il corrispondente liturgico di questa nuova dottrina: come prima della riforma la festa di Cristo Re esprimeva nel culto la dottrina della Regalità Sociale di Cristo, così nel postconcilio essa è stata proiettata in una visione escatologica, e sono state soppresse le strofe dell’inno Te saeculorum Principem in cui si allude al dovere delle Nazioni di sottomettersi al soave giogo di Cristo e si deplora la scelesta turba che non vuole che Egli regni.

Lo stesso movimento ecumenico, che troviamo riproposto nel postconcilio esattamente nella stessa forma in cui prima del Concilio era stato più e più volte condannato, conobbe un’evoluzione ulteriore: se all’inizio aveva come scopo l’unione delle varie denominazioni cristiane, con Giovanni Paolo II si allarga anche alle religioni monoteiste, alla Sinagoga, all’Islam, alla più disparata forma di idolatria o di animismo. E se l’Autorità suprema della Chiesa aveva condannato senza appello i tentativi irenistici di riunificare gli eretici e gli scismatici in un’entità astratta al di fuori dalla comunione cattolica, quali strali avrebbe dovuto lanciare su chi, da quello stesso soglio, fece pregare insieme gli adoratori degli idoli e i fedeli del Dio Vivo e Vero? Come negare che sia stata proprio la Dignitatis humanae a legittimare questi eccessi?

D’altra parte, proprio Montini aveva dato il primo esempio con gli ipocriti abbracci al Patriarca eterodosso di Costantinopoli, aveva restituito le bandiere dell’ammiraglia turca conquistate dall’armata cattolica a Lepanto, aveva portato l’ephod della Sinagoga per ingraziarsi gli Ebrei, dopo aver stravolto con la Nostra Aetate la dottrina comune sul deicidio. E quando Montini si lamentò con il Ministro della Pubblica Istruzione italiano per la soppressione del latino nelle scuole medie inferiori, si sentì candidamente rispondere che l’insegnamento della lingua latina non aveva più senso, da quando la Chiesa stessa usava la lingua volgare per i suoi riti. Tolto il latino dalla scuola, milioni di Italiani sono stati privati della possibilità di seguire la liturgia nella lingua sacra, rendendo praticamente irreparabile ed irrevocabile il danno della riforma liturgica, cosa che senza l’iniziativa della Chiesa non sarebbe avvenuta.

Ancora: come lamentarsi del decadimento morale dei fedeli e della débâcle dottrinale del Clero, se proprio in un momento delicatissimo come il Sessantotto si aboliva l’Index Librorum Prohibitorum e si sopprimeva l’Imprimatur per le opere di argomento religioso? Senza censura ecclesiastica si è consentito a tanti sedicenti teologi, esegeti e moralisti di pubblicare libri infetti che hanno diffuso errori e vere e proprie eresie. Fu o non fu in nome dello spirito del Concilio che Paolo VI privò la Chiesa di uno strumento di difesa efficace proprio quando essa era sotto attacco? Dopo il 14 Luglio 1789 sorsero in pochi mesi 140 nuovi quotidiani e periodici progressisti: quanti ne sono nati in seno alla Chiesa dopo il Concilio? Ancora i metodi rivoluzionari: libertà di stampa e soppressione della censura, in applicazione all’articolo 11 della Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen. Salvo epurare o ostracizzare dalle riviste cattoliche e dagli Atenei i filomonarchici ed i girondini del momento, ossia i tradizionalisti ed i fautori ante litteram dell’ermeneutica della continuità, quelli che pur accogliendo il Concilio lo volevano interpretare comunque nell’alveo della Tradizione. Ma si può considerare nell’alveo della Tradizione ciò che è nato per scalzare la Tradizione stessa, e per sostituirsi ad essa come un vitello d’oro?

Mons. Spadafora e mons. Piolanti ebbero a subire, come tanti altri, vere e proprie persecuzioni, giunte fino all’attentato incendiario subito dal postulatore della causa di Pio IX, il quale sosteneva di essere in possesso di una famigerata lettera con cui il Grande Oriente d’Italia esprimeva il proprio plauso a un Cerimoniere papale, per aver limitato la portata dell’Anno Santo 1975. Anno Santo che non avrebbe dovuto aver luogo, sempre in ossequio ai luterani, e che fu celebrato – occorre ricordarlo – più per aiutare l’economia disastrata di Roma che non per ragioni spirituali. Non ci si stupirà nel ritrovare ancora una volta il corrispondente delle azioni intimidatorie cui i rivoluzionari fanno ricorso nei confronti dei meno docili. E parlando di lettere della Massoneria, sarebbe il caso di menzionare en passant anche la famosa borsa dimenticata in Vaticano da mons. Bugnini e ritrovata dal Cardinal Siri, che la consegnò a Paolo VI, il quale si limitò ad esiliare il Prelato come Pro-Nunzio a Teheran senza annullare tutto quello chegli fino ad allora aveva fatto come membro del Consilium e di altri organi.

Quanto alla pretesa rivalutazione della Sacra Scrittura ad opera del Concilio, occorre sfatare decisamente il mito, riciclato pari pari dai protestanti e dai luterani, secondo il quale prima del Vaticano II i fedeli fossero tenuti nell’ignoranza dell’Antico e Nuovo Testamento. Al contrario – come ogni serio pedagogo sa bene – la Chiesa trasmetteva fedelmente l’essenza delle Sacre Scritture nella ripetitività annuale del ciclo liturgico, in un’architettura mirabile di rimandi ai Salmi, agli scritti dei Santi Padri della Chiesa, alle stesse preghiere della Messa e dell’Ufficio Divino. Nella liturgia riformata, al di là delle formulette di rito – spezzare la Parola e il Pane – pare che la conoscenza biblica consista nell’esasperante lettura di tutto l’Antico e Nuovo Testamento, anche nei passi più prolissi e oggettivamente di minor utilità pastorale, ma sempre rigorosamente nell’ottica del libero esame o con le glosse dei tromboni alla Ravasi.

Anche la riforma del Calendario, con la soppressione di Santi, lo spostamento di altri ad altra data, l’abolizione delle vigilie, delle Tempora, delle Rogazioni, in breve l’impostazione razionalista dell’intero impianto ricorda l’analoga riforma del calendario rivoluzionario: le continue manomissioni generano uno straniamento ed un senso di provvisorietà che sono la premessa all’accettazione supina del nuovo corso, dato come irrevocabile. E la visione cristocentrica delle domeniche e delle principali feste, che in astratto potrebbe esser anche positiva, assume una valenza negativa in quanto serve ad attenuare il culto alla Vergine e ai Santi, pietra di scandalo per i protestanti. Così, ad esempio, la festa della Purificazione della Beata Vergine diventa la Presentazione di Gesù al Tempio non per dare onore al Figlio, ma per toglierne alla Madre e non creare problemi al dialogo ecumenico.

La malattia e la senescenza di Giovanni Paolo II hanno permesso ad un manipolo di subalterni di consolidare il proprio potere e di collocare i propri uomini nei posti strategici: il giornalista Zizola ricordava in un suo articolo il gran traffico del segretario don Stanislao con il sigillo papale, quando il corpo del Papa era ancora caldo. E basta scorrere le ultime nomine di Giovanni Paolo II per rendersi conto che questi indecorosi maneggi sono tuttaltro che appannaggio di una corte rinascimentale. Ma anche il Maestro delle Cerimonie, mons. Piero Marini, ha dato il meglio di sé quando il Papa era ormai impresentabile in pubblico e pure lo si portava in giro con l’arroganza di certe badanti moldave dai modi sbrigativi: paramenti da avanspettacolo, figuranti di colore scritturati per fingersi buoni selvaggi in costume adamitico a danzare davanti al Vegliardo, liturgie papali degne di Viareggio o di Rio de Janeiro più che dell’Alma Urbe. E tutto l'Episcopato, il Clero e il popolo cristiano ne traevano esempio, entusiasti di potersi sbizzarrire ciascuno nella propria Diocesi, nella propria parrocchia. 
 
Paiono trascorsi mille anni da quando Giovanni Paolo II organizzò nel 1985 una preghiera riparatrice per il film blasfemo Je vous salue Marie di Godard. Ma nessuno oggi si scandalizza delle bestemmie e dei film sacrileghi, nessuno leva la voce se non flebilmente, perché la mentalità del Concilio ha ormai contagiato le coscienze, e le suore Paoline pensano che non ci sia nulla di male a vendere il Corano o le videocassette di Storia di una geisha (sic!) nei loro negozi, piuttosto del Catechismo di San Pio X. Al massimo qualche Vescovo chiede per i Cattolici lo stesso rispetto che si riconosce agli adepti delle altre religioni, senza pensare che un’offesa contro il Dio Vero e Vivo dei Cristiani è oggettivamente una bestemmia che in altre epoche avrebbe meritato al reo la morte. Non si scandalizzano gli Ebrei, che proprio in nome di una presunta bestemmia trascinarono Nostro Signore dinanzi a Pilato. Non si scandalizzano i Maomettani, che per molto meno condannano al patibolo. Si scandalizzano solo certi Vescovi e certi sacerdoti, ammorbati dallo spirito conciliare, ormai abituati a lasciar insultare il nostro Dio e la Beatissima Vergine, ma tanto zelanti nel difendere i diritti dell’uomo e nel farsi riprendere dalle telecamere mentre sbaciucchiano qualche rabbino o se ne stanno ossequiosamente in piedi dinanzi ad un bonzo vestito di stracci arancioni. Ma ai sacrosanti diritti di Dio chi ci dovrebbe pensare, se non i Suoi ministri?
 

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