mercoledì 26 gennaio 2011

Notazioni su uno scritto di Padre Cavalcoli: Vaticano II e Fraternità San Pio X

 
 
Ho preso visione della Lettera aperta [consultabile dal link] di p. Giovanni Cavalcoli, mossa dalla relazione di Don Florian Kolfhaus al recente convegno di Roma sul Concilio. Nell'esprimere una certa sopresa - tenendo conto del ruolo istituzionale di Officiale della Segreteria di Stato di Don Kolfhaus - per il fatto che egli sia stato chiamato in causa pubblicamente, vorrei formulare alcune osservazioni, vertenti principalmente su alcuni punti riguardanti la FSSPX, partendo dalla seguente premessa.

Dice p. Cavalcoli:
«Nel contempo lo Spirito Santo, che “rinnova tutte le cose”, la conduce [la Chiesa] alla “pienezza della verità”, non nel senso di insegnarle verità nuove - non nova sed nove -, ma nel senso di conoscere sempre meglio quelle medesime verità, quella medesima Parola che non passa e che lo Sposo ha affidato alla Sposa.»
Io credo che, se fossimo così certi che questo, che è prerogativa della Tradizione che amiamo, è quanto davvero avvenuto nel concilio e per effetto del Concilio, non ci sarebbe alcuna ragione per tutti questi appassionati e anche argomentati dibattiti...

Aggiunge p. Cavalcoli:
«Per questo, insieme con Lei, respingo l’interpretazione sia dei lefevriani che dei rahneriani, i quali vedono nelle dottrine del Concilio una novità che rompe col Magistero precedente, come se il dogma non fosse immutabile, ma soggetto ad un’evoluzione o a mutamento alla maniera modernista, i lefevriani per sdegnarsi di questa supposta rottura, i rahneriani invece per rallegrarsene.»
Il punto di congiunzione tra la Fraternità di San Pio X e Rahner in realtà c'è: nella 'rottura'. Ma non dimentichiamo che Rahner, che insieme ad altri è stato l'anima del concilio, ne è l'artefice; mentre i cosiddetti Lefebvriani sono tra coloro -insieme a noi- che la constatano, senza peraltro assolutizzarla nell'intero Concilio, che è stato dimostrato non potersi prendere come "un blocco unico" né come "evento mitizzato ed intoccabile", e quindi non tutto infallibile...

Nel passare in rassegna le due posizioni, quella modernista e quella della FSSPX, registro queste affermazioni di p. Cavalcoli:
«Il Concilio è considerato un “superdogma” dai modernisti, i quali peraltro, spregiatori come sono del vero dogma, si riservano di prendere dal Concilio solo quel che pare a loro o di falsificarne il vero significato, infischiandosi dell’interpretazione del Magistero, esattamente come fanno i protestanti.
I lefevriani, dal canto loro, si sono irrigiditi ad uno stadio della Tradizione superato (anche se sempre valido), precedente a quello del Vaticano II (al 1962, come ha detto scherzosamente, ma non troppo, il Papa), senza rendersi conto che proprio il Vaticano II è testimone infallibile dello stadio più avanzato della Tradizione.»
Mi trovo perfettamente d'accordo con l'affermazione riguardante i modernisti, mentre penso alla percentuale di Chiesa visibile che ricade in questa definizione, perché si tratta esattamente della crisi nella Chiesa non della Chiesa del nostro tempo e del grande disorientamento e oscuramento delle verità di Fede che molti fedeli, che ancora si identificano come cattolici, vivono e soffrono quotidianamente.
Piccola chiosa: il termine 'cattolico' è sempre più desueto nel lessico ecclesiale. Insieme a molti altri (es. Redenzione, Espiazione, Sacrificio, Penitenza e Riconciliazione, Grazia Santificante, Chiesa come Corpo Mistico di Cristo); mentre altre espressioni ormai signoreggiano con sempre maggior forza (es. enfasi sulla "mensa della Parola", equiparazione della Presenza nella Parola a quella nelle Sacre Specie)...

Mi sembra invece riduttivo presentare i "Lefebvriani" come congelati al pre-concilio. Riduttivo, in ragione della loro realtà così inserita nel vivo del tessuto sociale, in altri Paesi piuttosto che in Italia, non solo con la pastorale e la fedeltà al Rito Gregoriano -peraltro prerogativa di molti cattolici che non aderiscono alla Fraternità- ma anche nel campo dell'Educazione. Personalmente, nelle occasioni che ho avuto di confrontarmi con molti di loro, ho trovato persone e sacerdoti aperti e ben consapevoli delle sfide del nostro tempo. Poi, come in ogni realtà ecclesiale, possono esserci frange più 'estremiste'; ma in un momento così delicato non starei a puntare l'attenzione su quelle.

Padre Cavalcoli così si esprime chiamando ancora in causa la Fraternità Sacerdotale San Pio X:
«... il Santo Padre, in vista e nella speranza di accogliere nella pienezza della comunione ecclesiale la Fraternità S.Pio X (i cosiddetti “lefevriani”), ha posto ad essi come condizione l’accoglienza delle “dottrine” del Concilio, ed evidentemente le dottrine nuove, perché i lefevriani non hanno alcuna difficoltà ad accogliere le verità di fede già definite che si ritrovano negli insegnamenti conciliari.»
Riferirsi in modo così sbrigativo ai «cosiddetti "lefevriani"» (sic) [Lefebvriani], significa già posizionarsi in termini antitetici nei confronti della Fraternità Sacerdotale San Pio X, non tanto lefebvriana, quanto cattolica e basta. Essa infatti non si identifica tout court come seguace di Mons. Lefebre, che ne è il fondatore, ma verso la cui figura non c'è alcun atteggiamento di culto della personalità riscontrabile in altri contesti. Inoltre non esiste una 'dottrina' di Lefebvre: le riserve sul concilio espresse dalla Fraternità lo sono in nome della Tradizione cattolica. E, poi, metterla sullo stesso piano dei modernisti, dei quali è più che evidente lo iato rispetto all'alveo della Tradizione, mi sembra francamente improprio ed inesatto, dal momento che le 'novità' del concilio da essa contestate coincidono con i 'nodi' che qualsiasi fedele cattolico può riscontrare, soprattutto nelle loro applicazioni 'pastorali' operate dai novatori, che hanno segnato di fatto l'esistenza di due diverse 'anime' nella Chiesa per effetto di due diverse ecclesiologie. Questo è il cuore del problema.

Se è vero che la Fraternità, dalla sua Fedeltà alla Tradizione, contesta le 'innovazioni' introdotte da alcuni insegnamenti conciliari, non mi pare esatto che il Santo Padre ne subordini la pienezza della comunione ecclesiale ad un pedissequo accoglimento. Egli ha, anzi, accettato e disposto lo svolgimento di colloqui presso la Dottrina della Fede: il che sta a dimostrare che qualcosa da discutere c'è e, soprattutto, che è opportuno discuterne. La consapevolezza su questo ormai penso si sia ormai consolidata. Mi pare di poter cogliere un contrasto tra l'atteggiamento dialogante di Benedetto XVI e questa durezza d'espressione di p. Cavalcoli.

Un'altra considerazione si impone: è vero che la Fraternità accetta la dottrina pre-conciliare - che del resto è propria di ogni cattolico al pari del XXI concilio pur con i suoi 'distinguo' - ma è altrettanto vero che i modernisti la negano, ed è qui la vera 'rottura'.

Afferma inoltre p. Cavalcoli:
«E del resto i Papi del postconcilio hanno più volte detto che il Concilio non è stato solo pastorale ma anche dottrinale»
Ormai le cosiddette "dottrine nuove", sono sufficientemente smascherate e non vengono più passate sotto silenzio per essere forzosamente ricomprese in una fantasmatica "ermeneutica della continuità", proclamata, ma di fatto non ancora dimostrata nei termini in cui abbiamo constatato essa dovrebbe dispiegarsi. Questa è la nostra attuale consapevolezza, che ci fa auspicare con Mons. Schneider: “C’è dunque davvero bisogno di un Sillabo conciliare con valore dottrinale ed inoltre c’è il bisogno dell’aumento del numero di Pastori santi, coraggiosi e profondamente radicati nella tradizione della Chiesa, privi di ogni specie di mentalità di rottura sia in campo dottrinale, sia in campo liturgico.”

Lo stesso card Ratzinger già nel 1988 davanti ai vescovi del Cile affermava: il Concilio Vaticano II «escogitò di rimanere in un livello modesto, come un semplice concilio pastorale» cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto all’ordine della prassi e che quindi «il Concilio stesso non ha definito alcun dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come concilio puramente pastorale». Tuttavia, proprio questo "concilio pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato «come se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri concili». Del resto, per dirla con Don Kolfhaus, è ormai chiaro che "molti difendono il carattere vincolante e il significato del Vaticano II - che non mancano -, ma solo pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. È per questo che si registra una sorta di timore di un arretramento rispetto al Concilio e di una sua arbitraria svalutazione. Il nostro contesto e le nostre riflessioni non vogliono arrivare a questo, ma solo far luce sugli eventi, sulla loro portata e significato e su dove ci stanno portando", ovviamente -aggiungo- con l'obiettivo di ritrovare l'alveo della Tradizione, senza la quale non c'è la Chiesa, ma qualcosa d'"altro" e di "oltre"... Altrettanto possiamo dire della posizione dei Lefebvriani i quali, pur con tutti i distinguo di ordine esperienziale e di collocazione canonica determinata dalle complesse e sofferte vicende storiche da cui è scaturita, non si pongono obiettivi diversi.

Infine p. Cavalcoli afferma:
«Indubbiamente resta il problema di sapere con certezza quali sono e dove sono. Qui indubbiamente il Concilio non ce lo dice espressamente e non è neppure sempre chiaro, e qualche volta dà l’impressione di mutare o smentire dottrine di fede già definite. Ovviamente questo è impossibile. Tuttavia qui è bene se non doveroso, per il teologo, dimostrare la continuità. Fanno male e vorrei dire danno scandalo quelli che la mettono in dubbio."
Per dimostrare la continuità bisogna argomentarla partendo dai testi e non semplicemente proclamarla. Quei cattolici, compresa la FSSPX, che cercano di rimanere nell'alveo della Tradizione, non mettono affatto in dubbio la continuità, ma desiderano ritrovarla e ricostruirla nel crogiolo di sfuggente e affascinante colloquialità che, attraverso un linguaggio coinvolgente spesso veicola il vuoto spinto travestito da avventurose sperimentazioni sulla pelle di fedeli che rischiano di continuare ad essere sviati e trasformati in "diversamente-credenti". Ho il timore che, mentre ci avviciniamo a larghi passi ai 'fratelli separati' non più considerati eretici e ormai assurti al rango di "chiese" - quando l'unica vera Chiesa è quella cattolica -, siamo noi ad omologarci a loro e per loro non si pronuncia più la parola "conversione" alla vera Fede, che sussiste pur sempre nella Chiesa cattolica, che ne è la custode in quanto portatrice di una Presenza nella Sua pienezza....
 

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