lunedì 4 luglio 2011

Il Frankensteen meneghino




di Riccardo Facchini
Succede che a volte la storia ci offra l’occasione per criticare qualcuno o qualcosa che, fino a poco tempo prima, apparteneva alla categoria degli Intoccabili. Ciò è successo in passato dopo le grandi dittature, per la Nintendo dopo il Nintendo 64  o dopo il rigore di Baggio nella finale di Pasadena. Ora si spera che analoga sorte tocchi al “saggio” Umberto Veronesi. Il Frankensteen meneghino (sì, Frankensteen, come il delirante personaggio di Mel Brooks) ha infatti perso molta della popolarità acquisita (non si sa come) in passato per colpa delle sue recenti dichiarazioni pro-nucleare. Apriti cielo: la sinistra benpensante e “Signora mia la centrale non la voglio”, l’ha subito scaricato andandosi a cercare qualche altro dottorone che dispensasse perle di saggezza più alla moda.

E qui subentriamo noi, i bigotti che Veronesi non lo sopportano da quando ha smesso di fare l’oncologo e ha cominciato a fare il divulgatore scientifico (con qualche capatina non occasionale in politica). Il mondo cattolico, da anni, non perde infatti occasione per denunciare le sparate degne di un medico del III Reich del camice bianco più famoso d’Italia.
Ce n’è per tutti i gusti: dall’auspicare un mondo in cui gli anziani, a cinquanta o sessant'anni, si tolgano dalle scatole (Veronesi ne hai 86, che volemo fà?) fino alla speranza che l’uomo si possa autoriprodurre in laboratorio, magari con qualche ritocchino al Dna per essere alto quattro metri (sic!) e campare fino a 120 anni (il Cavaliere è avvertito). Le sue uscite – da ultima quella sul “puro” amore omosessuale – sono veramente troppe da poter essere riassunte in poche battute, e mi limito quindi  a segnalarvi un bellissimo pezzo di Francesco Agnoli (correva il 2006), grazie al quale si può comprendere come esse non siano semplici boutades ma elementi di un’ideologia scientista ben definita.

Visto che il materiale esiste e aspetta solo di essere divulgato, sarebbe lecito a questo punto domandarsi il perché del successo popolare dell’oncologo milanese e delle sue dozzine di libri. Ok, gli appoggi politici, giornalistici, editoriali, la giudo-pluto-pippo-massoneria, va bene. Ma perché la gente, almeno fino all’esaltazione – manco troppo assurda – del nucleare prendeva come oro colato qualsiasi cosa dicesse Veronesi?
Un po’, forse, per il fascino della divisa. Un po’ perché, inutile negarlo, l’uomo occidentale moderno è un positivista inconsapevole.
Secondo Wikipedia, che qualche volta c’azzecca, il Positivismo è un movimento filosofico e culturale ispirato ad alcune idee guida fondamentali riferite in genere all'esaltazione del progresso e delmetodo scientificoEcco, questo morbo, questa fiducia cieca e incondizionata nel futuro, dopo essersi infranta sulle grandi ideologie del Novecento, permane nelle coscienze sottoforma di venerazione acritica dello “Scienziato” – oggi Veronesi, domani chi per lui – visto un po’ come il filosofo della Repubblica di Platone, quello cui daremmo in mano le chiavi della nostra società.
Ma lo aveva già capito quel signor ateo di Nietzsche che chi fa scienza e si affida alle sue tesi con assoluta certezza non fa altro che cercare sicurezza di fronte alla paura di vivere. Quella paura di vivere così tipica dell’uomo contemporaneo.



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