domenica 3 luglio 2011

Libertà religiosa: la chiara posizione di Mons. De Castro Mayer

“Il 15 ottobre scorso, ho avuto l'onore di scrivere a Vostra Santità affermando il mio filiale rispetto a tali ordini.
Tra questi c'era quello per cui, nell'eventualità che "in coscienza io non fossi d'accordo con gli atti dell'attuale Magistero Ordinario della Chiesa", "manifestassi liberamente alla Santa Sede" il mio parere. È quel che faccio, con tutta la riverenza dovuta all’Augusto Vicario di Gesù Cristo, consegnando a Vostra Santità i tre studi allegati.”


Mons. Antonio de Castro Mayer

Il nodo teologico della “libertà religiosa”, così come descritta nel documento conciliare Dignitatis Humanae - al n. 2 in particolare - ha suscitato innumerevoli studi e proposte interpretative nella linea oggi ribattezzata “della continuità ermeneutica”. Finora i tentativi, benché di estrema erudizione teologica, si sono rivelati poco convincenti.
Il Vescovo della diocesi di Campos, Mons. De Castro Mayer - oggi ingiustamente dimenticato - si rivolse rispettosamente al Papa Paolo VI, in qualità di membro della Chiesa docente; i Vescovi infatti, prima d’ammaestrare il proprio gregge, ricevono un insegnamento dal Sommo Pontefice ed è prassi che ad Esso facciano appello per sapere quale sia l’interpretazione autentica di un testo loro proposto. Nello studio e nella supplica del Vescovo brasiliano, la schiettezza teologica si unisce al filiale - ed altrettanto teologico - rispetto verso il Successore di Pietro. Da figlio devoto della Chiesa, ma senza nascondere la verità, il presule conduce uno studio teologico di una disarmante semplicità, ripercorrendo il pensiero costante della Chiesa; non riuscendo a trovare una soluzione alla questione e vedendo la pericolosità della situazione si rivolge a Chi da Cristo ha ricevuto le chiavi, perché - per parafrasare il padre greco Teodoro Studita - la Sua parola, il Suo “calamo divino”, i suoi scritti, hanno il potere di dissipare i branchi di lupi che infestano la casa di Dio: “Lupi graves irruerunt in aulam Domini (…) habes potestatem a Deo… Terreto, supplicamus, haereticas feras calamo divini verbi tui”.
Il testo è del 1974, ma merita d’essere riproposto per le caratteristiche accennate e per la penna che lo scrisse, riflettendo apertamente all’esigenza di un’interpretazione autentica del testo controverso, senza escludere che il Sommo Pontefice possa procedere ad una revisione del testo, il quale non gode dell’infallibilità.
S.C.


Seguono lo studio e la supplica di Mons. De Castro Mayer.


25 gennaio 1974

Beatissimo Padre,

prostrato rispettosamente ai piedi di Vostra Santità, chiedo venia di sottomettere alla Vostra considerazione gli studi allegati alla presente lettera.
L'invio di questi studi è in ubbidienza all'ordine di Vostra Santità, trasmesso con lettera dell’Eminentissimo Cardinale Sebastiano Baggio all’Eminentissimo Cardinale Vincente Scherer, della quale quest'ultimo mi ha messo al corrente a viva voce durante un nostro incontro a Rio de Janeiro il 24 settembre u.s.
Il 15 ottobre scorso, ho avuto l'onore di scrivere a Vostra Santità affermando il mio filiale rispetto a tali ordini.
Tra questi c'era quello per cui, nell'eventualità che "in coscienza io non fossi d'accordo con gli atti dell'attuale Magistero Ordinario della Chiesa", "manifestassi liberamente alla Santa Sede" il mio parere. È quel che faccio, con tutta la riverenza dovuta all’Augusto Vicario di Gesù Cristo, consegnando a Vostra Santità i tre studi allegati.
Con ciò – si degni Vostra Santità notare – non faccio altro che un atto di ubbidienza alla Vostra veneranda determinazione. Gli apprezzamenti ivi espressi li ho concepiti durante anni di riflessione e di preghiera. Non è nelle mie intenzioni renderli pubblici, poiché sono certo che il mio riserbo sarà gradito a Vostra Santità.

Santo Padre, l'ubbidienza mi obbliga ora comunicare a Vostra Santità pensieri che forse vi cagioneranno afflizione. Lo faccio però con l'animo in pace, poiché sono nella via della sincerità e dell’ubbidienza in cui conto di rimanere con la grazia di Dio.
Però, se è tranquilla la mia coscienza allo stesso tempo è triste il mio cuore.
Infatti tutta la mia vita di Sacerdote e di Vescovo è stata segnata dall'impegno di essere, entro il mio limitato campo di azione, per la mia devozione senza restrizioni e la mia ubbidienza senza riserve motivo di grazia per i vari Papi sotto la cui autorità ho successivamente servito.
Invece, nella congiuntura presente, la devozione e l'ubbidienza mi portano a rattristare Vostra Santità.
A questo punto mi viene alla mente un episodio della Storia di Francia del secolo scorso. Lo racconta Chateaubriand nelle Memoires d'Outre Tombe. Una volta il re Luigi XVIII sollecitava la sua opinione circa una misura che il monarca aveva appena reso pubblica. La sincerità impediva allo scrivente di elogiare tale misura. Il timore però di rattristare il Re lo induceva tacere. Si è sottratto dunque all’esprimere il proprio pensiero. Accortosi di ciò, Luigi XVIII gli ha formalmente ordinato di parlare con tutta franchezza. Egli, rispondendo al nobile appello e prima di aprirsi al Re, gli ha fatto questa richiesta: "Sire, pardonnez ma fidelité". È quel che chiedo a Vostra Santità: perdonatemi la fedeltà con cui eseguo i Vostri ordini.
Imploro da Vostra Santità compassione per l'ubbidienza di questo Vescovo ormai settuagenario e che vive in questo momento l'episodio più drammatico della propria esistenza. E chiedo a Vostra Santità almeno una particella di quella comprensione e benevolenza che tante volte avete manifestato non soltanto verso quelli che Vi stanno vicini, ma anche con persone estranee, e perfino nemiche del Gregge unico dell'unico Pastore.
Negli anni ha preso corpo nel mio spirito la convinzione che atti ufficiali di Vostra Santità non hanno quella consonanza, che con tutta l'anima desideravo vedere, con gli atti di Pontefici che Vi hanno preceduto.
Non si tratta chiaramente di atti garantiti dal carisma dell'infallibilità. Così, quella mia convinzione non scuote in niente la mia fede senza riserve nelle definizioni del Concilio Vaticano I.
Timoroso di abusare del tempo prezioso del Vicario di Cristo, mi esimo da più ampie considerazioni e mi limito a sottomettere all'attenzione di Vostra Santità tre studi:

1 - riguardo la Octogesima Adveniens;

2 - riguardo la Libertà religiosa;
3 - sul nuovo "Ordo Missae" (di quest'ultimo è autore l'avvocato Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, al cui pensiero mi associo).

Sarà superfluo aggiungere che in questo momento, come in altri della mia vita, porterò a compimento, in tutta la misura ordinata dalle leggi della Chiesa, il sacro dovere dell'ubbidienza. E in questo spirito, con il cuore di figlio ardente e devotissimo del Papa e della Santa Chiesa, accoglierò qualsiasi parola di Vostra Santità riguardo a questo materiale.

In modo speciale supplico Vostra Santità di volermi comunicare:

a) se trova qualche errore nella dottrina esposta nei tre studi allegati;

b) se vede nella posizione assunta negli studi menzionati circa i documenti del Magistero Supremo qualcosa che discordi con la riverenza che ad essi è dovuta come Vescovo.
Supplicando che Vostra Santità voglia concedere a me e alla mia Diocesi il prezioso beneficio della Benedizione Apostolica, sono di Vostra Santità figlio umile e ubbidiente.

Antonio De Castro Mayer
Vescovo di Campos                  


Il 22 marzo 1974 il Nunzio Apostolico, Mons. Carmine Rocco, trasmise a S.E. Mons. Antonio de Castro Mayer la seguente risposta e null’altro:

«Le lettere del 25 gennaio u.s. dirette all’Eminentissimo Card. Baggio e a Sua Santità Paolo VI, insieme con gli studi fatti da Vostra Eccellenza, sono pervenute a destinazione».





La libertà religiosa




In materia di libertà religiosa nell'ordine civile, tre punti capitali, tra gli altri, sono assolutamente chiari nella tradizione cattolica:

1)      nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la Fede;

2)     l'errore non ha diritti;

3)     il culto pubblico delle religioni false può eventualmente essere tollerato dai poteri civili, in vista di un bene più grande da ottenersi o di un male maggiore da evitarsi, però per se stesso deve essere represso anche con la forza se necessario.

È quello che si deduce, per esempio, dai seguenti documenti:
1.                  Pio IX, Enciclica "Quanta Cura": "E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei SS. Padri [i seguaci del naturalismo] non dubitano di asserire: "La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i  violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete". Dalla quale idea di governo dello Stato, in tutto falsa, non temono di dedurre quell'altra opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime, chiamata deliramento dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di recente memoria, cioè "La libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene costituita, e essere diritto d’ogni cittadino una totale libertà, che non può essere limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi ecclesiastica, di manifestare e dichiarare i propri pensieri, quali che siano sia di viva voce, sia per iscritto, sia in altro modo palesemente ed in pubblico"."
2.                 "Syllabus" di Pio IX: proposizioni condannate 77 e 78: " Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto". "Quindi lodevolmente in alcuni paesi cattolici  fu stabilito per legge esser lecito a quelli che vi recano il pubblico esercizio del proprio qualsiasi culto".
3.                 Leone XIII, Enciclica "Libertas": "Nell'ordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente, che con la tutela e l'aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente vivere secondo le norme della legge eterna [...]. "Considerata rispetto alla società, la libertà dei culti importa non esser tenuto lo Stato a professarne o a favorirne alcuno: anzi dover essere indifferente a riguardo di tutti e averli in conto di giuridicamente uguali, anche se si tratti di nazioni cattoliche [...]."Iddio è quegli che creò l'uomo socievole, e lo pose nel consorzio de’ suoi simili, affinché i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e ch’ei, solitario, non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nell'associazione. Laonde la società civile, proprio perché società, deve conoscere e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione adunque e giustizia del pari condannano lo Stato ateo o, ch’è lo stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro largo de’ diritti medesimi. "Posto pertanto che una religione debba professarsi dallo Stato, quella va professata che è unicamente vera, e che per le note di verità, che evidentemente la suggellano, non è difficile a riconoscersi, massime in paesi cattolici [...]."Potestà morale è il diritto, e, come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla menzogna, al bene e al male. Le cose vere ed oneste hanno diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente propagate, e divenire il più che possibile comune retaggio; ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano diligentemente repressi per impedire che non si dilatino a danno comune. L'abuso della forza dell'ingegno, che torna ad oppressione morale degl’ignoranti, va legalmente represso con non minore fermezza, che l'abuso della forza materiale a danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dell'errore, specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei cittadini o del tutto non possono o non possono senza estrema difficoltà [...]."Per queste cagioni, senza attribuire diritti fuorché al vero e all'onesto, ella non vieta che per evitare un male più grande o conseguire e conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche cosa non conforme a verità e giustizia".
4.                 Pio XII, allocuzione "Ci riesce": "Un'altra questione essenzialmente diversa è se in una Comunità di Stati possa, almeno in determinate circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell'intero territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti coercitivi, statali. In altri termini, si chiede se il "non impedire", ossia il tollerare, sia in quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un dovere."Noi abbiamo or ora addotta l'autorità di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a lui possibile e facile di reprimere l'errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il "non impedire", senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d’impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso?"Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa. Essa mostra che l'errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li lascia esistere. Quindi l'affermazione: Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quanto è possibile, perché la sua tolleranza è in se stessa immorale – non può valere nella sua incondizionata assolutezza. D'altra parte, Dio non ha dato nemmeno all'autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, né nel campo della fede né in quello della morale. Non conoscono un tale precetto né la comune convinzione degli uomini, né la coscienza cristiana, né le fonti della rivelazione, né la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento: Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento. Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azioni. Esso deve essere subordinato a più alte e generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l'errore, per promuovere un bene maggiore."Con questo sono chiariti i due prìncipi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l'atteggiamento del giurista, dell'uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all'esistenza né alla propaganda, né all'azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell'interesse di un bene superiore e più vasto."Quanto alla seconda proposizione, vale a dire alla tolleranza, in circostanze determinate, alla sopportazione anche in casi in cui si potrebbe procedere alla repressione, la Chiesa – già per riguardo a coloro, che in buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa opinione – si è vista indotto ad agire ed ha agito secondo quella tolleranza, dopo che sotto Costantino il Grande e gli altri Imperatori cristiani divenne Chiesa di Stato, sempre per più alti e prevalenti motivi; così fa oggi e anche nel futuro si troverà di fronte alla stessa necessità. In tali singoli casi l'atteggiamento della Chiesa è determinato dalla tutela e dalla considerazione del bonum comune, del bene comune della Chiesa e dello Stato nei singoli Stati, da una parte, e dall'altra, del bonum comune della Chiesa universale, del regno di Dio sopra tutto il mondo".[1]


Non si concilia con i documenti sopra citati la dottrina della "Dignitatis Humanae" riguardo questa materia. Infatti nel n. 2 si legge: "Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto della libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata".

Il testo è chiaro e a rigore dispensa da commenti. C'è, secondo la Dichiarazione, un vero diritto[2] alla libertà religiosa nel senso indicato. L'immunità dalla coercizione è presentata come un diritto di tutti in relazione a tutti: individui, gruppi e Stato.
Si noti, perciò, che la Dichiarazione non considera situazioni concrete anche se molto frequenti che consiglierebbero la permissione, la tolleranza del culto falso. Al contrario, il testo prescinde dai fatti concreti e stabilisce come principio che ogni uomo ha il diritto di agire secondo la propria coscienza, in privato come in pubblico, in materia religiosa.

I limiti alla libertà religiosa stabiliti dalla Dichiarazione ("entro i dovuti limiti") non sono sufficienti, alla luce dell'insegnamento tradizionale dei Papi, per liberarla dai difetti segnalati[3].
Più avanti il testo conciliare continua: "Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società".
Il testo è chiaro. Il motivo per cui la Dichiarazione desidera che la libertà religiosa, nei termini indicati, si converta in diritto civile, consiste nel fatto che, già prima di qualsiasi disposizione legale, l'uomo avrebbe questo diritto. Si tratterebbe perciò di un vero diritto naturale[4]. Ebbene, questo principio si oppone all'insegnamento dei Papi precedenti.

Quel che causa perplessità è il fatto che la "Dignitatis Humanae" non soltanto difende la libertà religiosa in termini che discordano con la tradizione, ma afferma "ex professo" – peraltro senza addurre le prove – che la sua posizione non si scontra con gli insegnamenti tradizionali: "E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo".
Ora, la tradizionale dottrina cattolica circa il dovere morale degli uomini e delle società in rapporto alla Chiesa Cattolica, ha sempre insegnato che la vera religione deve essere favorita e sostenuta dallo Stato, mentre il culto pubblico e il proselitismo delle false religioni devono essere impediti, se necessario con la forza (malgrado possano, evidentemente, essere tollerati in considerazione di determinate circostanze concrete). E questo la tradizionale dottrina cattolica ha sempre insegnato essere un dovere morale, nel senso esatto del termine. E qualcosa che le società, come creature di Dio, devono in modo assoluto alla religione vera.

Nel numero 2 della "Dignitatis Humanae", si legge: "A motivo della loro dignità[5] tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà, e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Non si fonda quindi il diritto alla libertà religiosa su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito".
È evidente, perciò, che la Dichiarazione non rivendica la libertà religiosa soltanto per gli adepti di altre religioni, ma per tutti gli uomini. Pertanto, anche per quelli che non abbracciano nessuna religione e per quelli che negano l'esistenza di Dio. Anche questi, secondo la "Dignitatis Humanae", possono professare pubblicamente i loro errori e fare propaganda delle loro irreligiosità. Non vediamo come la Dichiarazione possa non trovare in opposizione con la tradizione cattolica questo strano "diritto" al proselitismo ateistico.

A sostegno del suo concetto di libertà religiosa, la Dichiarazione conciliare adduce alcuni testi pontifici. Essi sono: l'Enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII, AAS 1963, pp. 260-261; il Radiomessaggio Natalizio del 1942 di Pio XII, AAS 1943, p. 19, l'Enciclica "Mit brennender Sorge" di Pio XI, AAS 1937, p.160, l'enciclica "Libertas" di Leone XIII, Acta Leonis XIII,8 ,1888, pp. 237-238.

Esaminiamo brevemente questi quattro testi pontifici.
Quello dell'enciclica "Libertas” di Leone XIII dice così:

"Non meno celebrata delle altre è la libertà così detta di coscienza, la quale se prendasi in questo senso che ognuno sia libero di onorare Dio o di non onorarlo, dagli argomenti recati di sopra è confutata abbastanza. Ma può avere ancora questo significato, che l'uomo abbia nel civile consorzio diritto di compiere tutti i suoi doveri verso Dio senza impedimento alcuno. Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell'uomo, è più forte di qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora".
Può un tale testo costituire una genuina difesa della libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per il seguace di qualsiasi religione? L'espressione "nulla re impediente" dà a questo testo il significato di una libertà religiosa nel senso sopra indicato?
Il senso reale del testo non avalla una simile interpretazione. Infatti, parlando della libertà per seguire la volontà di Dio ed eseguire i Suoi ordini, il testo colloca faccia a faccia l'uomo da una parte, la volontà di Dio e i Suoi ordini dall'altra. E chiede per l’uomo la facoltà di eseguire questa volontà e questi ordini senza impedimenti. Si capisce subito che il testo parla della volontà di Dio e dei suoi ordini come si presentano ufficialmente ed obiettivamente. D'altronde, l'interpretazione favorevole al testo della "Dignitatis Humanae" sarebbe talmente opposta a tutto il contesto dell'Enciclica che è difficile comprendere come possa valersi di esso il testo conciliare. Leone XIII, che aveva appena difeso la "repressione" contro quelli che oralmente o per scritto diffondono l'errore (op. cit. p. 196), non potrebbe poi contraddire se stesso!

Il senso della libertà ivi difeso da Leone XIII è chiaro. Come dice lo stesso testo, si tratta del diritto di " seguire la volontà di Dio e di compiere i Suoi precetti" d'accordo con " la coscienza del dovere". Questa libertà, secondo la stessa Enciclica, ha "per oggetto un bene conforme alla ragione" (n. 6, cfr. nn. 69); non si oppone al principio per cui la Chiesa concede diritti soltanto "a quello che è vero e onesto" (n. 41); ed è qualificata come "legittima e onesta" (n. 16), per opposizione alla libertà di cui parlano i liberali radicali o moderati.
Inoltre il contesto prossimo del passo della "Libertas" che stiamo analizzando, dà ancora più risalto al suo vero significato che non è quello che la "Dignitatis Humanae" gli vuol attribuire.

Infatti, la Commissione del Segretariato per l'Unione dei Cristiani, citando il testo testé analizzato (cfr. opuscolo "Schema Declarationis de Libertate Religiosa",1965, p. 19), ha trascritto solo il passo che sopra abbiamo riportato. Se questa citazione si fosse estesa ancora per qualche rigo, si sarebbe visto subito che il passo non si riferisce alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna contro la diffusione di religioni false. Poiché, di seguito, la "Libertas" dice:

"Siffatta libertà rivendicarono con intrepida costanza gli Apostoli, la sancirono con scritti gli Apologisti, la consacrarono gran numero di Martiri col proprio sangue".

Ora, la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per le religioni false, la stessa "Dignitatis Humanae" non la difende come insegnata espressamente dagli Apostoli, ma dichiara soltanto che " ha radici nella rivelazione divina". Come potrebbe perciò dire Leone XIII che gli Apostoli costantemente rivendicavano per sé questa libertà?

E, soprattutto, come potrebbe Leone XIII dire che "una moltitudine innumerevole di Martiri" ha consacrato questa libertà col proprio sangue? Non abbiamo notizia di nessun martire che sia morto per difendere il "diritto" dei nicolaiti, degli gnostici, degli ariani, dei protestanti o degli atei a diffondere i loro errori. E, soprattutto, sarebbe singolare parlare di una "moltitudine di martiri" che abbiano versato il loro sangue con tale intenzione. Torna perciò evidente che il tratto citato della "Libertas" non riguarda la libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per i divulgatori dell'errore.

Immediatamente all'inizio del paragrafo seguente, Leone XIII dichiara:

"Nulla di comune ha [questa libertà cristiana] con lo spirito di sedizione e di rea indipendenza, né deroga punto al debito ossequio verso il pubblico potere, il quale intanto ha diritto di comandare e obbligare in coscienza, in quanto non discorda dal potere di Dio, e nell'ordine stabilito da Dio si mantiene. Ma quando si comandano cose apertamente contrarie alla divina volontà, allora si esce da quest’ordine e si va contro al volere divino e quindi non obbedire è giusto e bello".
Ora, l’ "ubbidienza dovuta al pubblico potere" e il diritto dei cittadini di disubbidire alle leggi umane ingiuste non dimostrano la libertà religiosa, nel senso di immunità da coercizione esterna nella pratica delle false religioni. Ciò riguarda la vera libertà, che è la facoltà di fare il bene, di seguire la volontà di Dio, di praticare la religione cattolica, senza essere in questo impedito da nessuno.

Più avanti, il testo della "Libertas" è ancora più chiaro:
"Ai liberali al contrario, che fanno padrone assoluto e onnipotente lo Stato, e che inculcano di vivere senza curarsi minimamente di Dio, questa libertà, congiunta a onestà e religione, è affatto ignota; tantoché ciò che altri faccia per mantenerla è, a giudizio loro, delitto e attentato contro l'ordine pubblico".
Ora, sarebbe totalmente assurdo dire che i liberali sono contrari alla libertà religiosa nel senso di immunità da coercizione esterna per la diffusione delle religioni false. Si rende chiaro, perciò, che Leone XIII propone ivi quella libertà "legittima ed onesta" da lui stesso definita e difesa precedentemente nella stessa Enciclica (cfr. p. 186), nel cui nome possiamo e per principio dobbiamo opporci alle leggi ingiuste.
Queste considerazioni sul testo della "Libertas", citato dalla "Dignitatis Humanae", rendono facile la comprensione anche del vero senso degli altri passi che la Dichiarazione conciliare cita nello stesso luogo.
Quando la "Mit Brennender Sorge" rivendica, contro il nazismo, il diritto del fedele a conoscere e praticare la religione[6], il testo di fatto non afferma che l'errore gode dell'immunità nell'ordine civile. D'altronde, sarebbe inconcepibile che, in quattro brevi righe, Pio XI pretendesse difendere una nuova nozione cattolica di libertà, in opposizione con i Papi precedenti. È evidente che, nello stesso modo in cui Leone XIII ha proclamato, in nome di questa libertà, il diritto di resistere alle leggi ingiuste e oppressive dei governi liberali, così anche Pio XI ha proclamato, in nome di questa stessa libertà, il diritto di resistere al nazismo.
E quando Pio XII, durante la seconda Guerra Mondiale, con una semplice frase ha rivendicato, tra i diritti fondamentali delle persone, " il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l'azione caritativa religiosa"[7], il testo del suo Radiomessaggio non affermava – come abbiamo già osservato a proposito della "Mit Brennender Sorge" – il diritto al culto falso reso a Dio in una religione non vera. Al contrario, il suo senso naturale è che all'uomo sia riconosciuto il diritto di rendere a Dio il vero culto, una volta che questo soltanto è il culto a Lui dovuto.

Inoltre, è evidente che Pio XII non intendeva modificare la dottrina cattolica riguardo a questa materia, ma difendeva soltanto la libertà "legittima e onesta" tanto chiaramente spiegata da Leone XIII. Tanto più che Pio XII, nell'allocuzione "Ci riesce", dove ha trattato "ex professo" della questione, nega qualsiasi diritto a ciò che non corrisponde alla verità e alla norma morale.
Lo stesso dicasi del brano di Giovanni XIII citato dalla "Dignitatis Humanae". Esso dice:
"In hominis iuribus hoc quoque numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam, venerari possit, et religionem privatim publice profiteri".

Poiché il testo dice: "secondo i retti dettami della propria coscienza", e non "secondo i dettami della propria coscienza retta" (come hanno voluto certuni), si rende chiaro che Giovanni XXIII parla qui nello stesso senso di Leone XIII nella "Libertas". Questa interpretazione si impone ancora più chiaramente se consideriamo che, per chiarire il senso del passo indicato, Giovanni XXIII trascrive, nello stesso testo principale della "Pacem in Terris", una pagina di Lattanzio e una di Leone XIII. Quella di Lattanzio si riferisce al "renderegiusti e dovuti onori a Dio"[8], mentre quella di Leone XIII è esattamente la stessa che abbiamo sopra commentato (“Haec quidem vera, haec digna filiis Dei libertas…”).

Al termine di questo studio, giudichiamo opportuno risolvere un'obiezione che potrebbe essere formulata come segue:
La Dichiarazione "Dignitatis Humanae" è stata approvata dalla maggioranza dell'Episcopato. Non sarebbe perciò garantita dal carisma dell’infallibilità o almeno, come documento del Magistero Ordinario, non obbligherebbe tutti fedeli?


Rispondiamo con le seguenti osservazioni:

1) Come è stato ufficialmente dichiarato, il Concilio Vaticano II non ha avuto intenzione di fare nuove definizioni solenni. Perciò anche la Dichiarazione "Dignitatis Humanae" non è garantita dal carisma dell'infallibilità, inerente alle definizioni solenni.

2) Ciò nonostante, una risoluzione presa dalla maggioranza dell'Episcopato riunito in Concilio e approvata dal Sommo Pontefice obbliga tutti i fedeli, anche se non viene con la garanzia dell'infallibilità.
3) Quest'obbligo però cessa, come succede con la"Dignitatis Humanae", quando si verificano nello stesso caso le due seguenti condizioni: a) è manifesto che l'Episcopato universale non ha avuto l'intenzione di vincolare in maniera definitiva le coscienze, e inoltre, b) è anche chiaro che tale documento dell'Episcopato universale è in contrasto con una dottrina già data come certa dal Magistero Ordinario di una lunga serie di Papi.

A cura di Claudia Marchini



[1] Nello stesso senso si veda ancora: Pio VI, Carta "Quod Aliquantun”, in La Paix Intérieure des Nations, pp.4-5; Enc. “Adeo Nota”, ibidem, p. 7; Pio VII, Carta Apost. “Post tam diuturnas”, ibidem, pp. 18-19; Gregorio XVI, Enc. “Mirari Vos”, Denz.-Sch. 2731 ss; Pio IX, Enc. “Singulari Nos”, in La Paix Int. Des Nat., p. 29, Leâo XIII, Enc “Humanum Genus”, in Doctrina Pontificial, vol. II, B.A.C., p. 168; Enc. “Immortale Dei”, ibidem, pp. 193-194, 204-205, 207-208; Sao Pio X, Carta “Vehementer Nos”, ibidem, pp. 384-385, Pio XI, Enc. “Quas primas”, ibidem, p. 504; Carta “Ci si è domandato”, ibidem, vol. V, p. 125, Enc. “Non Abbiamo Bisogno”, ibidem, vol. II, p. 594; Pio XII, Carta ao Episcopado Basiliero, AAS, 1950, p. 841.
Come si vede, i Papi hanno insegnato tassativamente che la propaganda delle religioni false dev’essere "impedita", "repressa" ("Ci riesce"), se necessario pertanto con coercizione esterna. Essendo così, non è soltanto l'errore astrattamente considerato che manca di diritti ("Libertas", p. 196; "Ci riesce"), ma anche le persone concrete che diffondono l’errore in materia religiosa ("Syllabus" di Pio IX, proposizione 78, Enc. "Libertas", p. 196).
D'altra parte, i Papi non hanno condannato soltanto la libertà religiosa assoluta e illimitata, che offende la moralità e l'ordine pubblico (Enc. "Libertas"). Ma hanno dichiarato espressamente che la diffusione dell'errore, in quanto tale, deve essere impedita, anche nei casi in cui non pregiudichi il cosiddetto ordine pubblico (Enc. “Quanta cura”, "Libertas", e "Ci riesce").
[2] Nell'occasione dei dibattiti conciliari sulla libertà religiosa, alcuni autori tradizionalisti, desiderosi di dare una spiegazione ortodossa allo schema, cercarono di difendere la tesi che, in un senso o nell'altro, gli adepti delle false religioni godono di un vero diritto a praticare pubblicamente e diffondere la loro religione. Registriamo qui due di questi tentativi.
Il P. Marcelino Zalba S.J. difese la tesi che la coscienza invincibile erronea genera veri diritti, anche se secondari, cioè che cedono davanti al diritto superiore del cattolico, il quale possiede la verità oggettiva ed intera (Cf. "Gregorianum", 1964, pp. 94-102; "Periodica", 1964, pp. 31-67). Questa tesi non ci sembra in armonia né con i principi del diritto naturale, né con gli insegnamenti dei Papi precedenti. L'errore, in quanto tale, non può generare veri diritti di nessun genere, ma soltanto diritti putativi.
Mons. Temino ha proposto la teoria, secondo la quale chi non conosce il cattolicesimo o non è persuaso della sua verità, ha il diritto di professare la sua religione, nella misura in cui questa contiene il diritto naturale o ad esso non si oppone. Ma tale diritto cede davanti alla religione cattolica (La conciencia y la Liberdad Religiosa, Burgos, 1965, p.72). Un'analisi approfondita di questa posizione eccederebbe i limiti che ci siamo proposti in questo studio. Basti qui osservare che la teoria di Mons. Temino non giustificherebbe in nessun modo quello che è il punto centrale della "Dignitatis Humanae": l’affermazione di un vero diritto all'immunità da coercizione con la religione cattolica.

[3] Quali sono i “limiti dovuti” entro i quali c'è il "diritto" di immunità da coercizione esterna in materia religiosa?
L'argomento è trattato "ex professo" nel n. 7 della "Dignitatis Humanae": l’esercizio della libertà religiosa non deve pregiudicare la composizione pacifica dei diritti di tutti cittadini, né l'onesta pace pubblica basata sulla vera giustizia e nemmeno la moralità pubblica.
Sulla scorta dei documenti di una serie di Papi, è evidente che le religioni false non hanno il diritto né all'esistenza né alla propaganda. Non si può perciò parlare di un vero diritto all'immunità da coercizione nell'ordine civile. Stando così le cose, il problema dei limiti di un tale diritto è ozioso: dove non c'è il diritto, non si pone neppure la questione dei suoi limiti.
Ci sia pertanto lecito osservare che la "Dignitatis Humanae" propone per la libertà in materia religiosa gli stessi limiti che la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" dell'ONU stabilisce per l'esercizio della libertà di coscienza e di religione, e che riscontrano, più o meno, nelle Costituzioni liberali delle nazioni moderne, ispirate ai principi della Rivoluzione Francese.
Inoltre, merita qui una nota speciale l’impostazione pluralistica della "Dignitatis Humanae", che per sua natura non si rivolge soltanto ai cattolici, ma orienterà anche i non cattolici (governanti o privati) in materia di libertà religiosa. Così, quando essa parla di "composizione pacifica di diritti", a quali diritti si riferisce? Pretende la "Dignitatis Humanae" presupporrebbe ammessi da tutti, come norma della convivenza sociale, i postulati del diritto naturale? La Dichiarazione conciliare guadagnerebbe molto se lo dicesse chiaramente. In effetti, data l'ampiezza con cui la "Dignitatis Humanae" definisce la libertà civile in materia religiosa, perché mai essa escluderebbe, per esempio, il concetto che hanno i marxisti della religione? Al contrario, perché escluderebbe il concetto di "onesta pace pubblica", "vera giustizia" predicati per esempio dai governi liberali o dai governi totalitari? La mancata definizione nella "Dignitatis Humanae" dei limiti del "diritto" di immunità da coercizione esterna in materia religiosa (Diritto questo che d'altronde non esiste) è un elemento che in pratica viene a favorire certi movimenti eterodossi nella loro lotta contro la Santa Chiesa.
[4] Nell'aula conciliare, parlando in nome della Commissione del Segretariato per l'Unità dei Cristiani, Mons. de Smedt dichiarò: " Libertas seu immunitas a coercitione, de qua agitur in Declaratione, non [...] agil de relationibus inter fideles et auctoritates in Ecclesia" (Schema Declarationis de Libertate Religiosa,1965, p. 25). Ben sappiamo la grande importanza che hanno queste parole per l'interpretazione del documento conciliare. Ciò nonostante, non possiamo esimerci dal lamentare qui la grande confusione che certe espressioni della "Dignitatis Humanae" introducono nella dottrina concernente il potere coercitivo della Chiesa sui suoi sudditi.
Perché mai il pensiero di Mons. de Smedt non è stato incluso nel testo conciliare? Questa omissione, già di per sé, in un testo che vuole trattare "ex professo" dell'immunità da coercizione esterna in materia religiosa e che fa l'analisi particolareggiata delle conseguenze di tale immunità, porta naturalmente il lettore a pensare che anche la Chiesa non può esercitare coercizione esterna sui suoi sudditi.
Inoltre, la Dichiarazione difende la "libertà sociale e civile" in materia religiosa (sottotitolo, et passim). Ora, la parola "sociale", nel suo senso comune ed anche tecnico, comprende anche la Chiesa.
Il testo conciliare proclama in termini talmente tassativi ed universali il cosiddetto "diritto", all'immunità da coercizione esterna in materia religiosa, che nella sua sana logica non si vede come conciliarlo con il diritto della Chiesa ad esercitare coercizione sui suoi sudditi (imporre pene, ecc.). Poiché come potrebbe la Chiesa contraddire un diritto che è presentato con tutte le caratteristiche di un diritto naturale?
Nel numero 1 della "Dignitatis Humanae", leggiamo: "Il Sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore".
Nel contesto, il senso è chiaro: questi doveri toccano e vincolano soltanto la coscienza. Come può allora la Chiesa, logicamente, imporre pene? E, se prendiamo le parole nel loro senso naturale, come conciliare, per esempio, le pene medicinali imposte dalla Chiesa con il principio secondo il quale " la verità non s'impone se non in forza della stessa verità"?
Siccome questa questione va oltre gli obiettivi che ci siamo prefissi nel presente studio, vogliamo qui soltanto accennarla brevemente, mettendo in risalto il pericolo che ci sarebbe nell’indebolire la dottrina sul potere coercitivo della Chiesa. A questo proposito, Leone XIII ha scritto nell'Enciclica "Libertas": "Altri ammettono di fatto la Chiesa, e non potrebbero non ammetterla: non riconoscono però la natura e i diritti di società perfetta con vero potere di far leggi, giudicare, punire, ma solamente la facoltà di esortare, persuadere, governare, chi spontaneamente e volontariamente le si assoggetta. Con tali idee snaturano l'essenziale concetto di questa divina società, ne restringono ed assottigliano l'autorità, il magistero, l'influenza..."

[5] Senza dubbio, diversi Papi hanno messo in relazione la libertà religiosa legittima e onesta con la dignità umana (cfr. Leone XIII, Enc. "Libertas", op. cit., p.202; Lettera Apostolica "Præclara Gratulationis", in La Paix Intérieure des Nations, Solesmes, pp. 215-216; San Pio X, Lett. Ap. "Notre Charge Apostolique", ibidem, pp. 254-263; Pio XI, Enc. " Quas Primas", ibidem, p. 318; Pio XII, radiomessaggio del Natale 1944, ibidem, p. 452; radiomessaggio del Natale 1949, ibidem, p. 549; allocuzione al "Katholikentag" di Vienna, in "Catolicismo" n. 24, dicembre 1952).
  
Tuttavia, questi Papi mai hanno dedotto dalla dignità umana qualsiasi diritto al male o all'errore; al contrario, hanno sempre insegnato che la dignità umana non è negata né violentata quando, nei dovuti casi si reprime il male. Ancora: hanno insegnato che tale repressione del male contribuisce soltanto al perfezionamento degli individui e della società e, perciò, è perfino richiesto dalla dignità umana intesa nel suo senso autentico.
Nel dedurre dalla dignità umana un vero diritto a professare pubblicamente l'errore in materia religiosa, la Dichiarazione del Vaticano II si colloca in posizione diversa da quella dei Papi precedenti. E, dottrinalmente, si mette in una posizione insostenibile per la sana logica, poiché sarebbe concepibile che la dignità umana fondi un diritto al male solo nel caso che essa in qualche modo sia fuori o al di sopra dell'ordine morale.
[6] È il seguente testo dell'Enciclica: «Der gläubige Mensch hat ein unverlierbares Recht, seinen Glauben zu bekennen und in den ihm gemässen Formen zu betätigen. Gesetze, die das Bekenntnis und die Betätigung dieses Glaubens unterdrücken oder erschweren, stehen im Widerspruch mit einem Naturgesetz» (AAS, 1937, p. 160).
Nella versione ufficiale italiana, questo stesso testo dice: "Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi, che sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto col diritto naturale" (AAS, 1937, p. 182).

[7] Sono queste le parole del Radiomessaggio di Pio XII che figurano nella documentazione presentata al Concilio: vedere l'opuscolo Schema Declarationis de Libertate Religiosa,1965, p. 19.

[8] «Hac conducione gignimur, ut generanti nos Deo iusta et debita obsequia praebeamus, hunc solum noverimus, hunc sequarum. Hoc vinculo pietatis obstricti Deo et relegati sumus, unde ipsa religio nomen accepit» (AAS, 1963, pp. 260-261).

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