martedì 4 ottobre 2011

Intervista al Professor Roberto de Mattei






Un docente cattolico è "indegno" di essere premiato





Nell'attuale cultura europea il concetto di libertà di opinione ha acquisito, anche, purtroppo in campo cattolico, venature tipicamente illuministriche ed ideologiche. In nome della difesa della libertà "di tutti" si cerca di impedire che coloro che diffondono idee ritenute in contrasto con la questa libertà le possano esprimere. Questo ha una innata valenza antireligiosa e, soprattutto, anticattolica, poiché la Fede romana ha la certezza delle Verità che proclama e questo viene percepito dai relativisti come dogmatismo intollerante, da combattere in ogni sua espressione.

In questo quadro si inserisce il caso "de Mattei - Acqui Storia", apparso sui maggiori quotidiani italiani: dal "Corriere della sera" a "il Giornale", da "la Repubblica" a "Libero". Il Premio Acqui Storia, giunto quest'anno alla 44ª edizione (la cerimonia di premiazione si svolgerà ad Acqui Terme il 22 ottobre p.v.), è diventato il più importamte riconoscimento dedicato alla storia, non soltanto a livello nazionale, ma in Europa ed è diviso in tre sezioni: storico-scientifica, storico-divulgativa e romanzo storico. Il presidente del Premio, Guido Pescosolido, si è dimesso in maniera polemica contro la scelta di premiare il saggio storico-scientifico Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau) del Professor Roberto de Mattei, Cattolico con la C maiuscola e vicepresidente del Cnr (Consiglio nazionale ricerche). Motivazione: "Si tratta di un'opera di un militante", eppure, ha dichiarato: "rispetto tutte le idee"... Rocco Buttiglione, ex ministro della Cultura, ha accusato Pescosolido di continuare una "persecuzione personale" ai danni di de Mattei. Ogni studioso legge e interpreta gli eventi sulla scorta del proprio bagaglio culturale; ma ciò non esclude di realizzare opere serie e rigorose, senza manipolazioni, nel rispetto dell'oggettività dei fatti.

Sul "Corriere della Sera" (3-x-2011) de Mattei ha scritto: "Io sono lontanissimo da Giuseppe Alberigo e da Alberto Melloni come orientamento culturale, ma riconosco che hanno svolto sul Vaticano II un lavoro scientifico di prim'ordine. Poi il loro giudizio sul Concilio è opposto al mio, ma questa è normale dialettica tra storici d'indirizzo diverso". Proprio Melloni sul "Corriere della sera" ha riconosciuto il valore storiografico e critico dell'opera di de Mattei. Ha dichiarato ("il Giornale" 3-x-2011) l'assessore alla Cultura di Acqui Terme, al quale compete l'organizzazione del Premio: "Il saggio di de Mattei non è stato votato in base a considerazioni ideologiche, tanto è vero che i giurati del premio appartengono a scuole scientifiche e tradizioni culturali diverse".
Abbiamo intervistato il Professor Roberto de Mattei.

Professore, dopo essere entrato tra i finalisti del premio Pen Club il Suo volume Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, ha vinto il Premio Acqui , il più prestigioso premio storico italiano. Anche in questo caso le polemiche non sono mancate, con le dimissioni addirittura del presidente della Giuria…

Il Premio Acqui Storia è stato attribuito al mio libro esclusivamente per il suo valore scientifico, indipendentemente da valutazioni ideologiche di qualsiasi natura, come ha spiegato l’assessore Carlo Sburlati, ma il prof. Guido Pescosolido, presidente della giuria, non appena si è delineata la possibilità di un mio successo, si è dimesso. Avrebbe potuto esprimere un voto contrario, come si usa in questo genere di premiazioni, mentre con le sue dimissioni e le successive dichiarazioni ai giornali ha voluto dare al suo gesto il significato di una protesta contro la mia posizione di “cattolico militante” (così mi ha definito sul “Corriere della Sera”). Osservo che qualsiasi cattolico è, o dovrebbe essere, “militante”, come membro della Chiesa, che così si definisce proprio perché sulla terra combatte. Ma ciò che i “liberali” come Pescosolido non accettano, fino al punto di rovesciare il tavolo su cui giocano, è che “cattolici militanti” possano ottenere pubblici riconoscimenti od occupare istituzioni di rilievo. Gli si può concedere la libertà di espressione solo a condizione che la esprimano nella semiclandestinità dei circoli tradizionalisti, in una condizione di sostanziale dhimmitudine. Ci troviamo di fronte a una chiara espressione di “totalitarismo liberale”.

In che senso parla di “totalitarismo”?Il totalitarismo è caratterizzato dal divieto di fare domanda, perché esige non degli uomini, ma delle macchine, che agiscano in maniera meccanica, privi di criteri di giudizio, secondo la volontà dei superiori in cui si annullano. Il totalitarismo è estraneo al Cristianesimo, che conosce certamente l’obbedienza al superiore, ma sempre scelta, mai imposta, come accade nei regimi totalitari. Il Medioevo non fu mai totalitario, perché il sovrano si piegava alla legge naturale e divina e alle tradizioni e ai costumi del regno. Fu la Rivoluzione francese che impose a ogni cittadino un’obbedienza alla Rivoluzione, svincolata da ogni criterio trascendente. Fu la Rivoluzione francese che introdusse la legge dei “sospetti”, matrice di ogni totalitarismo. In base a questa legge si veniva arrestati e condannati non per degli oggettivi crimini, ma per quelli che il sospettato avrebbe potuto commettere, in seguito alla sua educazione, alle sue amicizie, alle sue simpatie ideologiche. Lo stesso principio guidò le “purghe” staliniane: la condanna veniva decretata non verso chi avesse violato la legge, ma verso chiunque non manifestasse piena adesione, cieco entusiasmo, obbedienza servile nei confronti della Rivoluzione comunista e del suo capo. Questa mentalità totalitaria ispira la pratica del “politicamente corretto” delle società democratiche. Vi sono alcuni temi che non possono essere trattati, pena non la detenzione fisica, ma l’isolamento psicologico e morale del “sospettato”. La stessa mentalità è penetrata all’interno della Chiesa, in alcuni suoi esponenti, laici ed ecclesiastici: essa oggi si manifesta attraverso il divieto di porre domande sul Concilio Vaticano II.

Si riferisce alle critiche rivolte al suo libro anche in alcuni ambienti cattolici ?Nessuno storico può immaginare che la propria opera sia ricevuta senza discussione o controversie; ma queste discussioni avvengono, generalmente, sul piano in cui lo storico si situa: quello dei fatti che racconta. Non avrei immaginato che il mio libro fosse stato invece rifiutato da alcuni in nome di quegli stessi pregiudizi ideologici da cui Benedetto XVI invita a liberarci. Così è stato: su alcuni giornali cattolici il mio libro è stato accusato di essere “tendenzioso” e quindi inaccettabile perché da esso sembra emergere un giudizio negativo nei confronti del Concilio Vaticano II. Il Concilio, è stato scritto e ripetuto, è un atto supremo e infallibile della Chiesa e come tale non può essere messo in discussione: chi lo discute si mette, per ciò stesso, al di fuori della Chiesa.
Con questo incredibile sofisma non solo il mio studio, ma qualsiasi libro, articolo o affermazione che, rispondendo all’appello di Benedetto XVI nel suo discorso del 20 dicembre 2005, voglia porre delle questioni relative al Concilio, o al post-Concilio, viene immediatamente messo a tacere, sotto pena di scomunica se non canonica, psicologica, morale e mediatica. Chi pone sul tappeto domande sul Vaticano II viene “sospettato” di scisma ed eresie, escluso dai salotti buoni ecclesiastici, isolato nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle associazioni. Chi invece, in nome del Concilio Vaticano II, avanza tesi audaci e spregiudicate, talvolta eretiche o prossime all’eresia, viene invitato alla mensa ecclesiastica, trattato con il massimo del rispetto, considerato un interlocutore degno di ogni attenzione.

Non la sorprende che queste critiche siano venute soprattutto da cattolici “neoconservatori”?È vero. Le critiche più forti sono venute in effetti da ambienti cattolici che non vorrei chiamare “neoconservatori”, perché mi sembrerebbe far torto ai veri conservatori, ma piuttosto “neocentristi” o “neoconciliari”. Sono quei cattolici che per imporre la propria egemonia, brandiscono il “Magistero” contro la Tradizione della Chiesa, proponendosi poi come gli unici interpreti di tale effimero e magmatico Magistero, pur mai infallibile e mai definitorio. Un’altra loro caratteristica è il complesso di inferiorità nei confronti della cultura laicista, che giudicano sempre più “autorevole” e “scientifica” di quella “tradizionalista”. Sono dei minimalisti, o se si preferisce dei “catacombalisti”, perché accettano, in ultima analisi, il loro destino catacombale.

La Sua opera pare contrapporsi in maniera netta anche alla vulgata “tradizionale” sul Concilio Vaticano II, incarnata dalla cosiddetta Scuola di Bologna. Si può parlare di un’incrinatura definitiva dell’omogeneità pressoché assoluta della lettura “bolognese” dell’Assise pastorale?La “scuola di Bologna”, dopo la morte di Giuseppe Alberigo, è rappresentata oggi da Alberto Melloni e pochi altri allievi, mentre si sta formando invece una nuova scuola, che mi piace definire “romana”, in omaggio a quella grande scuola teologica di cui mons. Brunero Gherardini è oggi insigne rappresentante. Il termine Roma, ovviamente non è geografico, a differenza di quello di Bologna, ma esprime la fedeltà di questi autori al perenne insegnamento della Cattedra di Pietro. A questa scuola “romana” ascriverei l’eccellente libro appena uscito di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi, Perché si risveglierà (Vallecchi), un volume che ha il merito di sviluppare, in maniera brillante e accessibile al grande pubblico, temi importanti, come quello della Rivoluzione del linguaggio del Concilio Vaticano II.

Come reagiscono gli studenti universitari a queste nuove indagini storiografiche? Ci sono laureandi e laureati che desiderano approfondire il solco da Lei tracciato?Saranno soprattutto i giovani a sviluppare e approfondire i temi sollevati dal mio libro. Ci sono ancora molti archivi da esplorare, penso soprattutto a quelli dei Paesi dell’Est, e molti diari da portare alla luce, come quelli dei cardinali Felici e Ottaviani, di cui è certa l’esistenza, ma ancora secretati. Il vero problema però più che l’acquisizione di nuovi documenti è la discussione su quanto è conosciuto. Questa discussione il Papa l’ha aperta, l’ha sollecitata, la apprezza, come hanno confermato alcuni suoi atti successivi al discorso del 2005: mi riferisco al Motu Proprio Summorum Pontificum, con cui ha restituito libera cittadinanza al Rito Romano antico, e alla remissione della scomunica ai 4 vescovi consacrati da mons. Marcel Lefebvre. A questa discussione ho inteso dare un contributo, scrivendo una storia che, come tale, si ponesse sul piano dei fatti, cercasse la verità di quanto nel Concilio era accaduto, perché, finalmente, discutendo di esso, si sapesse di cosa si parla, e lo sapessero soprattutto i giovani, coloro che sono nati dopo il Vaticano II e che lo considerano spesso come un evento mitico, più che come un fatto storico. È soprattutto per i giovani che il mio libro è stato scritto, per aiutarli a pensare, a discutere, a situarsi nella prospettiva suggerita da Benedetto XVI.

Pensa di dedicare altri studi al XXI Concilio ecumenico della Chiesa cattolica?Uscirà a novembre, per l’editore Lindau, un mio nuovo libro sulla Tradizione della Chiesa, in cui non mancherò di rispondere ai problemi storiografici e teologici sollevati dai critici della mia storia del Concilio.
Questa incrinatura dell’edificio conciliare, che alcuni hanno definito il trionfo della Rivoluzione nella Chiesa, prelude, a Suo parere, ad un suo crollo? E, se così fosse, in che tempi?
Il Concilio Vaticano II, considerato come evento storico, e al di là di una pur necessaria valutazione teologica dei suoi documenti, è stata una vera e propria rivoluzione, non a torto definita l’89 della Chiesa cattolica. Come ogni rivoluzione esso ha costruito un edificio destinato a crollare. Ciò avverrà bruscamente, e il nostro compito è quello di non lasciarci travolgere dalle rovine, che non saranno quelle della Chiesa, ma di uomini e di strutture di Chiesa.

Crede che la Tradizione, dopo l’ubriacatura del mito dell’aggiornamento, possa ritornare ad avere il suo giusto spazio nella Chiesa?La Tradizione non è il passato, è il deposito perenne e sempre vivo, della Fede e dei costumi della Chiesa. Il suo ruolo emergerà, a mio parere, con sempre maggior forza, come è naturale che avvenga nelle epoche di crisi. L’ “ermeneutica della continuità” richiamata da Benedetto XVI, non può essere intesa altro che come un’interpretazione del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione, ovvero alla luce dell’insegnamento divino-apostolico che perdura in tutti i tempi e mai si interrompe. Nella Chiesa infatti, la “regola della Fede” non è né il Concilio Vaticano II, né il Magistero vivente contemporaneo, ma la Tradizione, ovvero il Magistero perenne, che costituisce, con la Sacra Scrittura, una delle due fonti della Parola di Dio e fruisce della speciale assistenza soprannaturale dello Spirito Santo.

Cristina Siccardi
 
Fonte: Messainlatino

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