giovedì 6 ottobre 2011

LA ‘DOTTRINA SOCIALE’ DI PIO XII

d. CURZIO NITOGLIA

20 luglio 2011

 
“Dappertutto oggi la vita della Nazioni è disintegrata dal culto cieco del valore numerico” (Pio XII, Radiomessaggio, 24. XII. 1944).
 Proemio
Abbiamo visto qual’è la concezione politica classica e scolastica. Ora dobbiamo vedere come verso la fine della seconda guerra mondiale Pio XII ha capito che stava per finire la modernità e che l’umanità stava per imboccare la via della post-modernità nichilistica. Egli ha cercato di farle capire come l’unica via percorribile per evitare uno sfacelo peggiore di quello del secondo conflitto mondiale era il ritorno alla sana filosofia classica e scolastica, alla vera teologia tomistica e alle direttive del Magistero ecclesiastico. Vediamo assieme l’insegnamento sociale e politico di Pio XII.  
‘Qualità’ e non ‘quantità’ nella ‘Res publica’
Il 6 aprile del 1951 Pio XII ha tenuto un Discorso ai dirigenti del Movimento Universale per una Confederazione Mondiale, in cui il Papa confuta l’ottimismo democratista, il quale vede nella democrazia moderna o culto del numero l’unica e la migliore forma di governo. Pio XII espone e confuta i “tre dogmi” della “politica” antropocentrica moderna.  
Il popolo è “sovrano” o “canale”?
Secondo la tesi erronea del democratismo moderno il potere viene dal popolo, dal basso e non da Dio o dall’Alto. Invece il potere viene da Dio causa prima e fonte di ogni cosa ed è trasferito dagli elettori all’eletto, come l’acqua che attraverso un canale viene dalla fonte (Dio) e non dal canale stesso (popolo) e giunge al Governante che lo possiede e non ne ha solo l’uso. Solo se colui che governa diventa tiranno o governa non per il bene comune allora la sanior pars populi può ritirargli de facto il potere che de jure già Dio non gli accorda più, poiché è esercitato contro Dio e la sua Legge. Gli uomini e le famiglie per vivere assieme e virtuosamente devono necessariamente avere un Governante, un’Autorità. Perciò la Società civile è divisa in Governanti che devono comandare (far leggi, farle rispettare e castigare chi le vìola) e sudditi che devono obbedire. Il vero Sovrano, però, è Dio e non la volontà popolare, che al massimo può scegliere un Governante al quale il potere deriva remotamente da Dio attraverso il popolo che funge da canale in maniera prossima.  
“Infallibilità” del popolo elettore?
● Dopo il peccato originale l’uomo è soggetto all’ignoranza e all’errore. Solo Dio e il Magistero della Chiesa, quando vuol definire e obbligare a credere una verità di Fede o di Morale, sono infallibili. Il popolo elettore non partecipa all’infallibilità divina, come invece il Magistero pontificio o universale. Nessuno ha mai promesso l’infallibilità al popolo, tranne i demagoghi,i quali si sono serviti per i loro interessi delle decisioni che hanno fatto prendere alla massa manovrata da loro stessi, rifugiandosi dietro il paravento dell’infallibilità dell’elettorato popolare.
● Pio XII insiste molto sulla distinzione tra “popolo” e “massa”. Il “popolo vive e si muove di vita propria”[1], ha una forma, un atto, un essere, una vita sua; invece “la massa è moltitudine amorfa” o senza forma o principio di vita, materia passiva, indeterminata, senza atto o perfezione. Il Papa continua: “la massa è di per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono”. Perciò il popolo è costituito da uomini intelligenti e liberi, che hanno princìpi , convinzioni, sono padroni di se stessi e conoscono i loro obblighi e diritti; mentre la massa è pura potenzialità che viene mossa e diretta da qualcuno al di fuori di essa dove lui vuole, come un carro trascinato dai buoi. Essa è composta da entità sub-umane prive di convinzioni proprie, di princìpi, di una sana morale, senza iniziativa propria; perciò vive di istinti, passioni e sentimenti sregolati senza alcuna subordinazione alla ragione e alla libera volontà. L’uomo facente parte della massa non è “l’animale razionale” aristotelico, ma “l’animale sensitivo” della post-modernità nichilistica, la quale con lo scoppio del Sessantotto ha reso l’uomo una “pecora matta”, che – come diceva nel 1944 Pio XII – “è un facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli istinti o le impressioni sensibili”[2]. Il popolo non è la maggioranza quantitativa, ma è la parte qualitativamente migliore della società. Il democratismo moderno non ha nulla a che vedere con l’idea aristotelica e tomistica di sana democrazia classica, che è la popolazione di un Paese dotata di forte personalità individuale e sociale.
● Il popolo è simile al corpo umano di cui parlava Menenio Agrippa e poi anche San Paolo, nel quale ogni organo ha la sua funzione e importanza, quelli inferiori (piedi) e quelli superiori (cervello), e nessuno di essi può fare a meno degli altri perché tutti sono necessari, anche se vi è una gerarchia, che non impoverisce nessuno, ma nobilita tutti, facendoli partecipare al bene comune. Come i piedi di un uomo portano il suo cuore e il suo cervello, così le classi umili della Società rendono possibile la sussistenza di quelle elevate non tanto per censo, ma per virtù morale e razionale. Questo apologo ci insegna ad evitare i due errori opposti per difetto (l’egualitarismo), secondo il quale tutti sono qualitativamente assolutamente eguali e nega ogni diversità o ineguaglianza qualitativa e l’altro per eccesso (il dis-egualitarismo), che esagera le differenze accidentali e erge delle barriere insormontabili tra gli uomini, non tanto per le qualità intellettuali, morali e spirituali o di “buona educazione, che è il fiore della carità” (San Francesco di Sales), ma soprattutto per quelle economico-sociali. Sono questi i famosi “s-nob” da “s[ine]-nob[ilitate]”, i quali, come la “Serva padrona” di Goldoni, vogliono ad ogni costo far valere la posizione sociale-economica che hanno raggiunto, molto spesso sine nobilitate o cum magna injustitia seu dishonestate. Il Libro Sacro dei ‘Proverbi ci ricorda che “non vi è persona più crudele di una schiava diventata padrona”. La verità si trova in medio et culmen (nel giusto mezzo di profondità e acutezza e non di mediocrità e bassezza). Tra questi due opposti errori o deviazioni morali è la dottrina della Carità fraterna soprannaturale propter Deum, Padre di tutti gli uomini. Infatti se tutti gli uomini sono eguali quanto alla natura umana, in essi vi sono diversità accidentali, le quali, lungi dal metterli in contrapposizione tra “sinistra” (odio di classe) e “destra” (s-nobismo), li debbono far cooperare caritatevolmente al buon andamento della Società, che come un corpo fisico vivente ha bisogno di organi nobili (cuore e cervello) e meno nobili (piedi e mani). Non esistono classi moralmente basse o vili, l’importante è che ognuno faccia bene il suo dovere di stato nella classe in cui la Provvidenza lo ha posto. Esistono solo uomini moralmente e intellettualmente bassi, vili e stupidi, ma magari economicamente “alti” o altezzosi, che disprezzerebbero perfino San Giuseppe e il Bambin Gesù poiché erano falegnami e non facevano parte delle élites tradizionali, pur discendendo da circa mille anni dal Re Davide ed essendo nel frattempo socialmente “decaduti”.
● Pio XII ricorda che se il popolo non è per se stesso infallibile, la massa quasi sicuramente erra, priva di convincimenti, di vera libertà e schiava dell’opinione pubblica, che è manipolata dai burattinai, i quali tirano i fili che tengono i burattini.  
Il ‘suffragio universale’ è fonte di diritto e verità?
Una delle votazioni più celebri della storia umana fu quella che condannò a morte Gesù e premiò Barabba. Ora, ci si può chiedere: il suffragio universale esprime la volontà della massa manovrabile e manovrata o quella del popolo o sanior pars Societatis? Il popolo è una Società civile, organica, viva e vivente, gerarchica come ogni corpo, ordinata, non appiattita e livellata, in cui le differenze formano l’armonia e la bellezza (immaginatevi una mano le cui cinque dita siano tutte eguali, sarebbe mostruosa!). Perciò se tutti possono pronunciarsi allo stesso modo e con lo stesso valore su ogni cosa, e se nel contare i pareri espressi tutti valgono allo stesso modo, de facto questo sistema esprime la volontà della massa e non della sanior pars populi. Per esempio, durante il processo di Gesù alcuni degli Scribi e dei Sacerdoti erano contrari alla sua condanna, lo stesso Pilato lo era, ma la massa aizzata dal Sinedrio votò a maggioranza la morte di Gesù e la libertà di Barabba. Ciò significa che il sistema del suffragio universale, il quale conferisce alla sola maggioranza numerica o quantitativa, a discapito di quella qualitativa, il diritto di stabilire una legge e una verità, non rappresenta la volontà dell’autentico popolo organico e vivo, ma della massa amorfa e informe, pronta ad essere manipolata, come l’argilla da parte del vasaio. Quindi attraverso le elezioni o il suffragio universale, in cui vince la maggioranza quantitativa o numerica e non quella qualitativa, non è il popolo vivo che decide. Pio XII stigmatizzava questa tendenza e la definiva come il “culto cieco del valore numerico[3]. Il cittadino o civis non conta per quel che è o vale secondo il suo grado di civiltà, ma come quantità, numero o voto o apporto elettorale che rende possibile al “potere”, nel senso deteriore del termine, di continuare a mantenere il consenso e il governo. Di fronte a questo pericolo verso cui si stava avviando anche l’Europa, Pio XII ha cercato di porre riparo proponendo la riaffermazione dei princìpi della filosofia perenne teoretica e sociale e cercando di indicare un ordine sociale futuro in cui le istituzioni politiche potessero dipendere non dal “culto cieco del numero”, ma dall’ordine organico e naturale della sanior pars Societatis. Infatti secondo il democratismo moderno e antropocentrico il mondo politico non è una Società di famiglie che si uniscono per tendenza naturalmente inscritta nell’uomo onde conseguire il “vivere virtuoso”, ma è un ingranaggio artificiale e meccanico, in cui prevale la quantità o materia e non ha nessuna rilevanza la qualità o forma intrinseca. Nel campo culturale e morale non dominano più i valori oggettivi conformi alla legge naturale e divina, ma la libertà individuale come valore assoluto o fine e non come mezzo per cogliere uno scopo, liberata perciò da ogni vincolo e legge oggettiva. Lo scopo dello Stato è quello di aiutare le famiglie e gli individui che la compongono a conseguire la “vita virtuosa” nella linea tracciata dal Decalogo, il quale soltanto può far conseguire il bene individuale e sociale, privato e comune. La modernità ha una concezione dello Stato e della politica meccanicistica, ossia l’uomo, la famiglia e la Società civile non sono naturalmente ordinati ad un fine, che è il bene comune naturale, virtuoso e soprannaturale, ma sono come una macchina (v. Cartesio, homme animal machine) non organica o viva ma studiata e progettata a tavolino (già a partire da Machiavelli, per giungere tramite gli ideologi del 1789 sino al marxismo revisionato e al teo-liberalismo) come un insieme di rotelle o meccanismi, che si muovono non per vita che possiedono dentro se stessi (“vivere est movere se ipsum”, Aristotele), ma per un movimento che viene dall’esterno o “etero-diretto”. La quantità non è né può essere il criterio supremo. Ora nella democrazia moderna o democratismo, è il “culto del numero” ossia la quantità dei voti che diventa criterio supremo di verità e di bontà. Un esempio molto pratico ci fa capire l’assurdità di questo sistema ideologico-politico: se siamo in 10 persone sulla Tourre Eiffel e si decide se dobbiamo buttarci giù da essa e 6 persone dicono di sì, le altre quattro sarebbero obbligate - secondo il democratismo egualitarista - a seguir la maggioranza quantitativa, ma evidentemente non qualitativa nel proprio sragionamento suicida; così se la maggioranza decide che l’aborto è legale, l’infanticidio diventa legge di Stato. Non è la qualità o chi ragiona secondo verità e giustizia, ma il “numero amorfo” a stabilire ciò che è vero e buono!  
È possibile “oggi” una Società cristiana?
● Nell’immediato non è probabile, poiché natura non facit saltus, sed procedit gradatim. Tuttavia occorre sempre tener vivo il principio o l’ideale della filosofia politica perenne, del Magistero tradizionale e del ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’, i quali insegnano che naturalmente l’uomo deve essere sottomesso a Dio suo Creatore e sempre naturalmente la Società civile deve a Dio, che ha creato l’uomo animale naturaliter socialis, il culto che gli è dovuto. La natura spinge l’uomo, la famiglia e lo Stato a vivere virtuosamente in comune, osservando i Comandamenti che Dio ha inscritto nella nostra natura e che ha poi rivelato per renderci più facile lo loro osservanza. Così pure la Autorità naturalmente tende a stimolare il bene e a punire il male, poiché questa è la sua finalità naturale e intrinseca. Ora, nonostante il degradamento dell’uomo, della famiglia e della Società (civile e religiosa) contemporanei, la natura non può cambiare sostanzialmente, può soffrire cattivi influssi, ma essa tende al suo fine e nulla è più forte della natura, specialmente se corroborata dalla Grazia, la quale è offerta in maniera sufficiente a tutti gli uomini. Perciò lo Stato, la famiglia e l’individuo tendono al loro fine naturale: il vivere virtuosamente sulla via tracciata dal Decalogo, e l’Autorità tende a farlo rispettare e a punire la sua trasgressione, nonostante le depravazioni che possano colpire l’uomo e la Società e i detentori dell’Autorità, nelle varie epoche storiche.
● Pio XII aveva capito perfettamente che il mondo contemporaneo in campo culturale, morale e spirituale stava per imboccare la via del nichilismo ed aveva esclamato “La libertà individuale, sciolta da tutti i vincoli, da tutte le norme e regole, da tutti i valori oggettivi individuali e sociali, in realtà è un’anarchia mortale, soprattutto nell’educazione della gioventù” (24. XII. 1944). Mai profezia di sventura fu più azzeccata! E mai utopia di ottimismo esagerato sull’incontro tra uomo moderno e Chiesa (Giovanni XXIII), tra antropocentrismo e teocentrismo[4] (Paolo VI e Giovanni Paolo II), fu più sbagliata e fuori della realtà. Pio XII ci ricorda che mentre l’organismo o corpo sociale è conforme alla natura e quindi è retto, vero e buono, il “meccanismo” o la Società meccanicistica, progettata a tavolino dagli ideologi rivoluzionari, è inadeguato e incapace di esplicitare le finalità insite nella natura umana. Infatti i pezzi di una macchina non si muovono da sé, ma sono mossi dal di fuori. È per questo che la massa è “manipolabile”, come lo fu dal Sinedrio durante il processo a Gesù. La natura è opera di Dio e diretta da Lui come Causa prima e principale, mentre la macchina è opera dell’uomo e dirigibile da lui.  
Il laicismo moderno
● Abbiamo già citato i Padri e il Magistero sulla subordinazione gerarchizzata tra Stato e Chiesa. Il lettore può valersi di un libro molto prezioso, purtroppo non più in commercio, compilato da due professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: Giorgio Balladore-Pallieri & Giulio Vismara, Acta Pontificia Juris Gentium usque ad annum MCCCIV, Milano, Vita e Pensiero, 1946. Esso raccoglie i documenti pontifici dal III secolo sino a Bonifacio VIII. Il Magistero è ritornato sul tema a partire dal “Diritto nuovo” nato con la modernità illuministica, che propugna la separazione totale tra Stato e Chiesa. Da papa Pio VI (+ 1799) a Pio XII (+ 1958) è ribadita la dottrina della unione e subordinazione gerarchizzata dei due poteri secondo la nobiltà dei fini (temporale e spirituale). Lo Stato cristiano è esistito a partire da Costantino sino alla Rivoluzione francese.
● Leone XIII lo ricorda: “Vi fu un tempo  in cui la Filosofia del Vangelo governava gli Stati. Quando la forza dello spirito cristiano era penetrata nelle leggi civili, nelle istituzioni temporali, nei costumi dei popoli; […] quando procedevano concordi il sacerdozio e l’Impero. […]. Se l’Europa cristiana domò le orde barbariche, […] se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della civiltà, […] non v’è dubbio che in gran parte ne va debitrice alla religione. Senza dubbio, tutti quei benefici sarebbero durati, se del pari fosse durata la concordia tra i due poteri” (Immortale Dei, 1885). Leone XIII poi passa a spiegare come tale armonia sia stata spezzata dallo “spirito di novità del secolo XVI”, il quale “prima scosse la religione [soggettivismo luterano], poi la filosofia [soggettivismo cartesiano] e quindi lo Stato [democratismo rousseauiano]” di modo che il “diritto naturale” è stato rimpiazzato da un “nuovo diritto”, soggettivo e fondato sull’Individualismo relativista (Immortale Dei, 1885).  
Quale nemico ha fatto tutto ciò?
● Pio XII si è posta questa domanda nel Discorso agli uomini di Azione cattolica, Nel contemplare” del 12 ottobre 1952. Pacelli esclama: “Non chiedeteci qual è il nemico, né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. […]. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la Fede; la libertà senza l’Autorità. È un nemico divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi Dio non mai esistito”. Come si vede, secondo Pio XII, che riprende il Magistero costante e quindi infallibile della Chiesa da Gelasio I (+ 469), la separazione o il divorzio tra Stato e Chiesa è un male, un peccato, un’apostasia gravissima dell’uomo, della famiglia e dello Stato da Dio e dalla Chiesa che Lui ha fondato. La teoria, l’ideale o il principio è quello della unione e cooperazione gerarchizzata tra Stato e Chiesa. Tuttavia alcune volte, per evitare un male maggiore, occorre tollerare praticamente, ma non teoricamente, un culto e una religione a-cattolici, i quali non possiedono diritti, ma debbono essere tollerati come un mal di denti sino a che il dentista non possa sradicare il dente cariato: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla norma morale non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda»[5]. Parimenti il Papa riprova la “neutralità religiosa dello Stato” poiché l’unica situazione normale è quella dell’unione e collaborazione tra i due poteri.  
Rottura tra Vaticano II e Tradizione apostolica
● Da tutto ciò si evince come la dottrina sulla “Libertà religiosa” in foro esterno e in pubblico per tutte le correnti di pensiero filosofico e teologico promulgata dal Concilio Vaticano II (Dignitatis humanae, 7 dicembre 1965) sia in opposizione di contraddizione con la Tradizione apostolica e il Magistero costante della Chiesa. L’Avvenire, il quotidiano della ‘Conferenza Episcopale Italiana’, l’8 giugno 2011 a pagina 27 ha pubblicato un editoriale di Flavio Felice intitolato Liberalismo Usa figlio del Cristianesimo, in cui si legge: «La prima grande teoria, espressa nel mondo moderno, dei diritti inviolabili e imprescrittibili della persona umana, è stata elaborata da un pensatore profondamente cristiano, John Locke. […]. Secondo la tradizione del liberalismo di ispirazione cristiana: Rosmini, Sturzo ed altri, richiamata di recente da Benedetto XVI nella lettera inviata a Giorgio Napoli il 17 marzo scorso, il liberalismo è tale in quanto elegge la persona come fine della vita associata». È il culto dell’Uomo, che prende il posto di Dio o la coincidentia oppositorum di antropocentrismo e teocentrismo. Gaudium et spes n° 24 specifica che «L’uomo su questa terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa (propter seipsam)». Durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II”, il 7 dicembre del 1965, Papa Montini giunse a proclamare: «la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo»[6]. Karol Wojtyla nel 1976 da cardinale, predicando un ritiro spirituale a Paolo VI e ai suoi collaboratori, pubblicato in italiano sotto il titolo Segno di contraddizione. Meditazioni, (Milano, Gribaudi, 1977), inizia la meditazione “Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo” (cap. XII, pp. 114-122) con Gaudium et spes n.° 22 e asserisce: «il testo conciliare, applicando a sua volta la categoria del mistero all’uomo, spiega il carattere antropologico o perfino antropocentrico della Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa Rivelazione è concentrata sull’uomo […]. Il Figlio di Dio, attraverso la sua Incarnazione, si è unito ad ogni uomo, è diventato - come Uomo - uno di noi. […]. Ecco i punti centrali ai quali si potrebbe ridurre l’insegnamento conciliare sull’uomo e sul suo mistero» (pp. 115-116). Papa Giovanni Paolo II afferma nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives in misericordia” n.° 1: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».
d. CURZIO NITOGLIA

20 luglio 2011

 


[1] Pio XII, Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944. Secondo Aristotele (De anima) la vita consiste nel “movimento intrinseco”: mangiare, crescere individualmente e riprodursi o continuare nella specie. Infatti chi non mangia non cresce, ma deperisce e muore e non può perpetuare la specie. Il movimento è intrinseco (“movere seipsum”) al soggetto vivente: la pianta, l’animale e l’uomo mangiano, crescono e si riproducono. Tutti e tre vivono, hanno un principio di vita ossia un’anima, che è vegetale per le piante (mangiano, crescono e si riproducono a-sessuatamente e non hanno nessun tipo di conoscenza o appetito), idem per gli animali, che in più hanno una vita sensibile e una conoscenza e appetito puramente sensibile o istintivo, manca loro la ragione e la volontà razionale e libera, che possiede solo l’uomo, il quale ha un’anima razionale, spirituale, e quindi ‘in-estesa’ e incorruttibile, poiché non soggetta a divisione. Oggi va di moda - ma la teoria risale al XVIII secolo e fu lanciata dai filosofi sensisti inglesi - dire che l’animale è “intelligente” o che l’uomo ha la stesso grado di conoscenza e appetito o desiderio dell’animale bruto. Ciò è smentito dall’esperienza. Per esempio: un’ape, che pure è molto abile istintivamente, se batte la testa contro un vetro di una finestra mezza aperta, continua tutto il giorno a ripetere lo stesso errore e non è capace di spostarsi di qualche centimetro per uscire dalla parte della mezza finestra aperta. Un altro esempio cui ho assistito personalmente. Un cane molto vivace e sveglio - di nome “Nerone” - rimane chiuso dentro una stanza, abbaia istintivamente per farsi aprire, però la porta oltre la maniglia ha un chiavistello verticalmente penetrante il pavimento. Ebbene il cane per poter uscire, invece di lasciare il chiavistello alzato, lo abbassa con le sue zampe e rende impossibile a me di aprire la porta dal di fuori. Debbo chiamare un fabbro-ferraio, il quale non avendo studiato “filosofia moderna” all’università, ha il buon senso di esclamare: “Che stupido questo cane! Anche il bambino più addormentato avrebbe capito che bisognava alzate il chiavistello”. Per quale motivo? Perché il cane, molto sveglio quanto all’istinto e alla sensibilità, non ha intelligenza razionale.
[2] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.
[3] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.
[4] Cfr. C. Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974.
[5] Cfr. Pio XII, Discorso al V Congresso nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani “Ci riesce, 6 dicembre 1953.
[6] Enchiridion Vaticanum. Documento del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e traduzione italiana, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 9a ed., 1971, Discorsi e messaggi, pp. [282-283].

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