"Quello
che più ci importa è la Chiesa cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche
noi ripetiamo le parole di San Paolo: «Tradidi quo et accepi»,
trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto".
Sul sito del distretto di Germania, don Niklaus
Pfluger, primo Assistente generale della Fraternità Sacerdotale San
Pio X ha risposto il 29 settembre 2011 a qualche domanda sulla riunione
del 14 settembre a Roma e sui documenti consegnati al Superiore
generale della Fraternità.
Si
sa che è stato consegnato un preambolo dottrinale di grande interesse.
Benché Lei sia obbligato alla riservatezza sul contenuto del documento,
può dirci come vede questo testo?
Il
testo proposto ammette delle correzioni da parte nostra. E questo è
necessario, se non altro per eliminare chiaramente e definitivamente la
minima ombra di ambiguità o di malinteso. Da parte nostra, adesso
dobbiamo consegnare a Roma una risposta che rifletta la nostra posizione
e manifesti senza ambiguità le preoccupazioni della Tradizione. In
forza della nostra missione di fedeltà alla Tradizione cattolica, noi
non dobbiamo fare dei compromessi. I fedeli, e ancor più i sacerdoti,
sanno molto bene che le offerte romane fatte nel passato alle diverse
comunità conservatrici erano inaccettabili. Se adesso Roma fa un’offerta
alla Fraternità bisogna che questa sia chiaramente e inequivocabilmente
per il bene della Chiesa e acceleri il ritorno alla Tradizione. Noi
facciamo nostri il pensiero e il modo d’agire di tutta la Chiesa
cattolica: la sua missione universale, e questo fu sempre l’ardente
desiderio del nostro fondatore: che la Tradizione rifiorisse dovunque
nel mondo. È questo che potrebbe giustamente favorire un riconoscimento
canonico della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Certi
critici dicono che Roma, con questo preambolo, vorrebbe tendere una
trappola alla Fraternità: una Fraternità legittimamente integrata
potrebbe apportare alla Chiesa moderna il suo “carisma della
Tradizione”, ma dovrebbe anche accettare altri percorsi e il pensiero
conciliare, nel senso del pluralismo.
Questa
critica è del tutto giustificata e dev’essere presa sul serio. Noi non
possiamo escludere l’impressione che si stabilirebbe una accettazione
silenziosa, che condurrebbe in effetti a quella diversità che
relativizza la sola verità: è proprio questa la base del modernismo.
Assisi
III e più ancora l’infelice beatificazione di Giovanni Paolo II,
insieme a molti altri esempi, dimostrano chiaramente che le autorità
della Chiesa non sono sempre pronti ad abbandonare i falsi principi del
Vaticano II e le loro conseguenze. Di modo che ogni offerta fatta alla
Tradizione deve garantirci la libertà di continuare sia la nostra opera
sia la nostra critica nei confronti della «Roma modernista». E per
essere franchi, questo sembra molto, molto difficile. Ancora una volta,
dev’essere escluso ogni compromesso falso e pericoloso.
È
inutile comparare la situazione attuale con gli incontri del 1988. A
quell’epoca, Roma voleva impedire ogni autonomia della Fraternità San
Pio X, il vescovo che si voleva concedere, forse sì o forse no, avrebbe
dovuto dipendere in ogni caso da Roma. A Mons. Marcel Lefebvre questo
appariva troppo aleatorio. Se egli avesse ceduto, Roma avrebbe potuto
veramente sperare che una Fraternità senza vescovi «propri», una volta o
l’altra avrebbe finito con l’orientarsi verso la linea conciliare. Oggi
la situazione è tutt’altra. Vi sono quattro vescovi e 550 sacerdoti
sparsi nel mondo, mentre le strutture della Chiesa ufficiale si
sbriciolano sempre più velocemente. Roma non può più confrontarsi con la
Fraternità come fece più di vent’anni fa.
Intravede la possibilità di una risposta positiva? E che la Fraternità sottoscriva il preambolo?
Qui
la diplomazia svolge un ruolo importante. All’esterno, Roma vuole
salvare la faccia. Il Papa ha già ricevuto troppi rimproveri per aver
rimesso la “scomunica” ai nostri vescovi senza preamboli. Se fosse
dipeso dalla maggioranza dei vescovi tedeschi, la Fraternità avrebbe
dovuto prima firmare un riconoscimento in bianco del Concilio. Del
resto, è quello che essi esigono oggi. Il Papa Benedetto XVI non l’ha
fatto. Lo stesso dicasi per la liberalizzazione della Messa tridentina,
l’altra condizione chiesta dalla Fraternità. In tal modo Roma ha
acconsentito per due volte ai desideri della Fraternità. È evidente che
oggi si chiede un testo che possa essere presentato al pubblico. La
questione sta nel capire se questo testo si possa sottoscrivere. Fra una
settimana, i Superiori della Fraternità San Pio X si riuniranno a Roma
per discutere della cosa. Ovviamente, dev’essere chiaro al Cardinale
Levada e alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che non possono
pretendere un testo che a sua volta la Fraternità non potrebbe
giustificare di fronte ai suoi membri e ai suoi fedeli.
A chi hanno apportato maggiore vantaggio i colloqui: a Roma o alla Fraternità San Pio X?
È
un punto molto interessante, quindi insisto: per noi non si tratta di
acquisire un vantaggio. Noi vogliamo rendere nuovamente accessibile a
tutta la Chiesa il tesoro che Mons. Lefebvre ci ha trasmesso. Su questo
punto, uno statuto canonico sarebbe un beneficio per tutta la Chiesa.
Per esempio, si può supporre che un vescovo conservatore possa chiedere
ad un sacerdote della Fraternità di venire ad insegnare nel suo
seminario diocesano. In più, una regolarizzazione della nostra posizione
potrebbe anche significare che dei cattolici, che in altre occasioni si
sono lasciati dissuadere da etichettature infamanti, a quel punto osino
unirsi a noi. Ma non è di questo che si tratta, da 41 anni la
Fraternità si è sviluppata regolarmente, e questo malgrado il pesante
argomento della “scomunica”. Quello che più ci importa è la Chiesa
cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San
Paolo: «Tradidi quo et accepi», trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo
ricevuto.
Intervista completa in versione originale su wwww.pius.info.
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