mercoledì 26 ottobre 2011

Verso Assisi, riflessioni (sic) del "Cardinal" Ravasi!



Fonte: Una Vox


vedi anche:
I (Card. Bertone) II (Card. Tauran) - III (Card. Levada) - IV (Card.  Koch) -
V (Card. Turkson) - VII (Mons. Sorrentino)

altri articoli su Assisi III


Continuiamo a leggere gli articoli apparsi su L’Osservatore Romano a proposito del prossimo incontro di Assisi del 27 ottobre 2011, promosso dal Santo Padre Benedetto XVI.
A quelli del Cardinale Bertone, del 3 luglio, del Cardinale Tauran del 5 luglio, del Cardinale Levada del 6 luglio, del Cardinale Koch del 7 luglio, del Cardinale Turkson dell’8 luglio, è seguito, il 9 luglio, l’intervento del Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: Chi fa domande è sui sentieri della verità.

Il Cardinale Ravasi, per la sua formazione culturale, che gli ha valso l’incarico che riveste, è certo il più adatto a fornire notizie su filosofi, pensatori, scienziati e tutti quelli che non hanno alcun credo, se non il loro personale.
Questa categoria di persone, che possono dirsi agnostici e che insieme agli atei e ai razionalisti considerano la religione una sorta di forzatura o di inganno, sia pure con diverse sfumature, è stata ufficialmente chiamata al prossimo incontro di Assisi a rappresentare «la moltitudine di coloro che non professano nessun credo e che, tuttavia, hanno una visione etica e umanistica dell’essere e dell’esistere», come dice il Cardinale. Certo nella convinzione che nel pregare per la verità e per la pace, un ruolo considerevole lo svolgono anche coloro che non sanno neanche cosa sia la preghiera.
Può sembrare contraddittorio, ma in realtà la cosa è del tutto coerente con l’idea che Dio possa essere invocato anche da coloro che credono ai falsi dei.

Tra queste persone invitate ad Assisi non poteva mancare una donna, poiché nella logica moderna della partecipazione democratica era inevitabile rendere omaggio anche all’attuale moda femminista… tanto per non fare torto ad alcuno.
La cosa è significativa, come dice il Cardinale: «È significativo notare che, invitata a far sentire la sua testimonianza e il suo appello ai credenti anche a nome degli altri suoi colleghi, sarà una particolare voce femminile, un’intellettuale considerata tra i maggiori esponenti della filosofia e della psicologia contemporanea…».
Come poteva mancare la testimonianza e l’appello ai credenti di una filosofa psicologa?
Sembra proprio che la Chiesa moderna non possa fare a meno delle moderne filosofie e psicologie, specialmente se declinate al femminile!

Non poteva mancare, dice il Cardinale, perché proprio il Santo Padre Benedetto XVI aveva dichiarato alla Curia romana (21 dicembre 2009) che «Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».
Prosa invero un po’ criptica, poiché bisognerà capire come possa rimanere sconosciuto quello stesso Dio a cui ci si è avvicinati e di cui si è saputo che si è fatto uomo e che si è lasciato crocifiggere per la salvezza delle anime.
Tranne che col termine “sconosciuto” non si voglia intendere “disconosciuto” e giustificare così il rifiuto di conoscere.

E il Cardinale spiega che tale concetto ha trovato concretizzazione nel noto “cortile dei gentili”, da lui organizzato e inaugurato a Parigi il marzo scorso. “Cortile” che prende il nome dallo spazio esistente fuori dal Tempio di Gerusalemme, che permetteva ai pagani di accostarsi al luogo sacro, senza però profanarlo con il loro ingresso, in modo da apprendere di Dio in vista della loro conversione.
Tale spazio, rigorosamente separato dal Tempio, portava in gran vista l’avviso del divieto d’ingresso per i miscredenti, sotto pena di morte.
Però, seguendo San Paolo, dice il Cardinale, tale separazione fra credenti e miscredenti sarebbe caduta perché «Cristo è venuto ad “abbattere il muro di separazione che divideva” Ebrei e Gentili “per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, riconciliando tutti e due in un solo corpo” (Ef. 2, 14-16). La realtà materiale del “Cortile” può, quindi, trasformarsi — sulla scia delle parole dell’Apostolo — in un simbolo che illustra emblematicamente anche quanto avverrà ad Assisi».

Peccato che San Paolo dica esattamente il contrario di quello che gli vuol far dire il Cardinale. Poiché, basta leggere i due versetti citati, e dal Cardinale mal riportati, per capire subito che San Paolo parla dei diversi riconciliati in Cristo, cioè convertitisi al Vero Dio, e per ciò stesso non più rigorosamente separati – esattamente come avveniva nel Tempio di Gerusalemme dopo la conversione. Mentre invece il Cardinale, col suo discorso, sostiene che non dev’esserci più separazione tra i fedeli di Cristo e gli infedeli, perché «Credenti e non credenti stanno certamente su territori ideali diversi, ma non si devono rinserrare in un isolazionismo sacrale o laico, ignorandosi o respingendosi, come vorrebbero i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti. … ma i pensieri e le parole, le opere e le scelte di entrambi i protagonisti possono confrontarsi e persino incontrarsi, proprio come avviene attorno al tema della pace e della giustizia».

Ancora una volta ci troviamo di fronte all’uso strumentale della Scrittura: usando le categorie mentali moderne e fidando che queste stesse categorie, diffuse oggi tra i fedeli cattolici, portino a condividere la rilettura o ermeneutica dei passi della Scrittura ad uso e consumo delle moderne concezioni sincretistiche e indifferentistiche.
Il Cardinale, però, da quell’uomo di cultura che è, cerca di destreggiarsi e mette le mani avanti precisando «Certo, non si devono ignorare le discordanze dissolvendole in un vago sincretismo intellettuale e spirituale; ma i pensieri e le parole, le opere e le scelte di entrambi i protagonisti possono confrontarsi e persino incontrarsi».
Come se questo rimettesse le cose a posto.
In realtà, come abbiamo già detto altrove, si tratta di un rimedio più dannoso del male, di qualcosa di più grave dello stesso sincretismo, poiché qui si continua a sostenere che nonostante ci siano di quelli che rifiutano la verità di Cristo, questi stessi, in forza di questo loro rifiuto, possono incontrarsi con coloro che hanno abbracciato quella verità. E questo incontrarsi deve corrispondere, non ad un casuale trovarsi accanto, ma ad una compenetrazione reciproca, tale che il credente incontri la miscredenza e ne tragga vantaggio.

«Ad Assisi, dunque, attraverso la presenza inedita dei non credenti dallo spirito aperto e sincero, si intesserà un «dialogo» che, come suggerisce il termine greco, è un incontro di lógoi, di pensieri, di concezioni, di discorsi, di razionalità, ma è anche un «attraversamento» (dià), ossia un percorso che viene fatto all’interno di un lógos, una verità che ci precede e ci eccede. È un dialogo che viene condotto sulla soglia dell’assoluto di Dio per i credenti, ma nello stesso tempo sul «bordo insperato del visibile» alla ricerca dell’invisibile per il non credente, come affermava il poeta «agnostico» francese Yves Namur nella sua opera significativamente intitolata Dieu ou quelque chose comme ça («Dio o qualcosa di simile») pubblicata nel 2008. Un dialogo al quale entrambi i protagonisti portano il loro contributo di ricerca. Anche chi non si professa credente, ma è in cammino con la sua ragione, la sua arte, le sue energie intellettuali e umane nel grande orizzonte dell’essere, ha il suo dono da offrire al fedele».

Certo il Cardinale usa una prosa tutta sua, ma come sempre è estremamente facile capire che in parole povere egli raccomanda la lettura degli scrittori agnostici, l’approfondimento dei “pensieri, delle concezioni e dei discorsi” dei miscredenti, degli atei e dei razionalisti, perché, dice lui, si tratta di doni offerti ai fedeli.
Manca solo che ci chieda di essere loro grati per l’eternità.

Il tutto ancora fondato su quella strana concezione moderna secondo la quale noi fedeli di Cristo saremmo alla ricerca al pari di chi non crede. Ritornello caro a tutti i cattolici modernisti.

Doni salutari, peraltro, suggerisce il Cardinale, come avrebbe detto San Giustino: «nella sua i Apologia che “del Lógos divino fu partecipe tutto il genere umano e coloro che vissero secondo il Lógos sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come fra i greci Socrate ed Eraclito e altri come loro” (46, 2-3)».

Peccato che San Giustino parli dei possibili cristiani che poterono esserlo, senza saperlo, prima della venuta di Cristo, ma che dopo non possono più esserlo se non aderendo alla predicazione di Cristo e all’insegnamento della Sua Chiesa.
Ancora il solito subdolo tentativo di far dire ai Padri della Chiesa quello che non hanno mai detto.
Bellamente arricchito dal Cardinale con una lirica presentazione del versetto di Isaia (45, 8): «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia! Si apra la terra, fiorisca la salvezza e germogli insieme la giustizia!».
Questo versetto, secondo la moderna versione italiana citata dal Cardinale, è un esempio di come si sia operata, in seguito al Concilio Vaticano II, la manipolazione dei testi della Sacra Scrittura per farli corrispondere alla nuova teologia e alla nuova ecclesiologia.

Nel 1979 venne pubblicata una nuova versione latina della Bibbia (neo vulgata), che ha sostituito le precedenti versioni, la Vulgata Clementina, del 1592 e la Vulgata detta di San Girolamo, del 405.

Il testo latino della neo vulgata riporta:
Rorate, caeli, desuper, et nubes pluant iustitiam; aperiatur terra et germinet salvationem; et iustitia oriatur simul: ego Dominus creavi eam.
Che, come si vede, corrisponde alla traduzione italiana riportata dal Cardinale.

Il testo latino della Vulgata Clementina, identico a quello della Vulgata di San Girolamo riporta:
Rorate, cæli, desuper, et nubes pluant justum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem, et justitia oriatur simul: ego Dominus creavi eum.
Che, come si vede, è ben differente.

Cos’è cambiato?
Sono scomparsi i chiari riferimenti a Gesù Cristo, il Giusto, il Salvatore, il Figlio del Padre; e sono comparsi: una generica “giustizia” (iustitiam) al posto del “Giusto” (iustum); una improbabile “salvezza” (salvationem) al posto del “Salvatore” (salvatorem); il pronome “essa” (eam) al posto di “Lui” (eum) (che stranamente nella traduzione italiana diventa sorprendentemente e forse per vergogna “tutto questo”).

Certo che il Cardinale non si sarebbe compiaciuto della citazione della versione millenaria della Bibbia, come invece si è entusiasmato per questa citazione che può facilmente usare al suo scopo.
Anche in questo caso, infatti, il versetto di Isaia nella sua versione corretta lo avrebbe ricondotto alla necessità che si può stare insieme solo se si è tutti seguaci dello stesso Signore Gesù, mandando in frantumi la sua teoria dei doni dei miscredenti, che sarebbero semplicemente apparsi per quelli che sono: polpette avvelenate.

Non sfuggiamo però alla possibile obiezione: la nuova vulgata è stata voluta dai papi e la traduzione è stata condotta sulla base di seri studi di esegesi biblica, nei quali pare che eccella lo stesso Cardinale Ravasi, almeno così dicono.
Non v’è dubbio. Ma noi non abbiamo inteso dire niente di diverso.
Noi conveniamo che il testo biblico sia stato cambiato, che il cambiamento sia stato voluto dai papi, che le variazioni siano state apportate sulla base di seri studi di esegesi biblica. Siamo perfettamente d’accordo sul dato.
Ciò che facciamo notare è:
a) il cambiamento è stato operato dopo 1500 anni di invarianza, dopo il Vaticano II;
b) i papi non si sono mai permessi di cambiare (se non in qualche particolare) il testo stabilito per ordine del Papa Damaso I (nel 382) da San Girolamo, esperto in letteratura, conoscitore del latino, del greco, dell’ebraico e dell’aramaico e che impiegò 23 anni per fare il lavoro, recandosi in Palestina e in Egitto e confrontandosi con gli esperti Ebrei;
c) che solo la presunzione dei moderni studiosi può giungere a pensare di poter capire i testi, dopo 1500 anni, meglio di coloro che parlavano ordinariamente le lingue in cui furono composti il Vecchio e il Nuovo Testamento.
d) che non è possibile parlare di studi seri di esegesi biblica dimenticando che dai primi del Novecento non v’è mai più stata pace per qualsiasi genere di testo, perché questi “angeli del cielo” che sono i moderni esegeti non riescono a mettersi d’accordo neanche in vita, figuriamoci dopo la morte.
Senza contare che tra critica storica, critica letteraria e altre diavolerie moderne, questi famosi testi, di qualsiasi genere, non riescono più a dire ciò che volevano, ma finiscono col dire solo ciò che vogliono i critici, i revisori, gli esegeti e gli ermeneuti.

Poteva sfuggire a questa pestilenza il Vaticano II?
Certo che poteva! ma non volle!
Anzi, sono stati cambiati i testi e con essi i catechismi, la liturgia, gli insegnamenti e la dottrina.
Questo versetto di Isaia di cui abbiamo parlato ne è un piccolo esempio.

Quello ci viene in mente è una considerazione che seppure esagerata nella forma, aiuta a rendere l’idea che si muove tra le righe del Cardinale: e se tra questi miscredenti illuminati ne arrivasse uno che, con la sua profonda cultura e con dovizia di note a margine, proponesse l’equivalenza tra la “trimurti” indù e la SS. Trinità? Cosa farebbe il Cardinale? Lo caccerebbe da Assisi come folle o lo accetterebbe come portatore di un dono salutare o, mosso da un qualche scrupolo, lo inviterebbe a stabilire un dialogo?

Perché una cosa è certa: tutto ci si può aspettare da un Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura che sostiene: «“Ci sono atei di un’asprezza feroce che tutto sommato si interessano di Dio molto più di certi credenti frivoli e leggeri”. Si comprende, allora, come sia prezioso anche per noi avere accanto — come ha voluto Benedetto XVI — queste presenze autentiche e sincere, mentre riflettiamo, dialoghiamo e preghiamo per la pace e la giustizia nel mondo lungo le vie e le memorie di Francesco».

Povero San Francesco!
 

Giovanni Servodio

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