venerdì 13 gennaio 2012

Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira: Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz


Disponiamo di un altro testo (Fonte: Una Vox) che approfondisce la nostra riflessione sul recente dibattito scaturito dalle affermazioni Mons. Fernando Ocáriz Braña, strettamente collegate al Preambolo dottrinale sottoposto alla FSSPX; ma di fatto riguardanti la Chiesa tutta e i gradi dell'assenso interno dovuto agli atti Magisteriali, basato sulla virtù dell'obbedienza. Il dibattito si arricchisce e si approfondisce. Siamo grati per il grande dono di poter aver accesso a questi testi che nutrono la nostra consapevolezza e la nostra fede e danno le ali alla nostra ulteriore riflessione e sintesi.

Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, è stato stretto collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di Campos ed è Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo del Brasile. Sono numerosi i suoi scritti sui problemi di coscienza, posti dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono scaturite, ad ogni cattolico fedele alla verità e all’autorità. Egli è anche l’autore assieme a mons. De Castro Mayer di numerosi saggi teologici sul Novus Ordo Missae di Paolo VI pubblicati in francese in un libro divenuto celeberrimo sotto il titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975.

Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz

1 - L’Osservatore Romano del 2 dicembre scorso, col titolo Sull’adesione al Concilio Vaticano II, ha pubblicato un importante articolo [ne abbiamo parlato qui - qui - qui - qui - qui] di Mons. Fernando Ocáriz Braña, Vicario Generale dell’Opus Dei, uno dei periti della Santa Sede nei colloqui teologici con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. 
L’articolo esprime in maniera esauriente la posizione dominante di quegli ambienti che accettano il Vaticano II anche in quei passi riconosciuti come contrari alla Tradizione, invocando questa o quella infallibilità del Magistero Ordinario, o l’obbligo di un “assenso interno” poggiante sulla virtù dell’obbedienza. 
Dell’assenso interno secondo Mons. Ocáriz 
2 - L’illustre prelato scrive: «Il concilio Vaticano II non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell’infallibilità non significa che esso possa essere considerato “fallibile” nel senso che trasmetta una “dottrina provvisoria” oppure “autorevoli opinioni”. Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il “carisma della verità” (…), “rivestiti dell’autorità di Cristo” (…), “alla luce dello Spirito Santo”. Questo carisma, questa autorità e questa luce furono certamente presenti nel concilio Vaticano II; negare ciò all’intero episcopato cum Petro e sub Petro, radunato per insegnare alla Chiesa universale, sarebbe negare qualcosa dell’essenza stessa della Chiesa (…)
3 - Poco dopo, Mons. Ocáriz aggiunge: «Le affermazioni del concilio Vaticano II che ricordano verità di fede richiedono ovviamente l’adesione di fede teologale, non perché siano state insegnate da questo Concilio, ma perché già erano state insegnate infallibilmente come tali dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale. (…) Gli altri insegnamenti dottrinali del Concilio richiedono dai fedeli il grado di adesione denominato “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”. Un assenso “religioso”, quindi non fondato su motivazioni puramente razionali. Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza, non semplicemente disciplinare, bensì radicata nella fiducia nell’assistenza divina al magistero, e perciò “nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede»” (…). Le parole di Cristo “chi ascolta voi ascolta me” (…) sono indirizzate anche ai successori degli apostoli». 
4 - Verso la fine, Mons. Ocáriz afferma: «Comunque, rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi». 
Le vie di Dio non sono le nostre 
5 - Naturalmente, Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. Questa infallibilità, in teoria, potrebbe coprire qualsiasi pronunciamento dottrinale dei Papi e dei concilii, oltre che le decisioni canoniche, liturgiche, ecc. E potrebbe anche coprire le decisioni pastorali e amministrative. Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. 
6 - Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie. 
La dottrina è più complessa di quanto pretenda Mons. Ocáriz 
7 - L’articolo afferma, come assoluto e incondizionato, il principio che anche gli insegnamenti non infallibili del Magistero papale o conciliare esigono necessariamente l’assenso interno del fedele. Ora, i grandi autori della neo-scolastica pongono importanti riserve a questa tesi, dimostrando che non si può assumerla, in modo semplicistico, come una regola che non ammette eccezioni. 
8 - Infatti: 
 - Diekamp dichiara che l’obbligo di aderire agli insegnamenti papali non infallibili “può incominciare a venir meno” nel caso rarissimo in cui un esperto, dopo un diligente esame, “arriva alla convinzione che nella decisione si sia introdotto un errore” (Th. Dog. Man., I, 72). 
- Pesch ammette il detto assenso “in quanto non appaia positivamente chiaro che nel decreto della Curia Romana o del Papa vi sia un errore” (Pr. Dogm., I, 314/315). 
- Merkelbach insegna che la dottrina proposta in forma non infallibile, accidentalmente e in circostanze rarissime, può ammettere la sospensione dell’assenso interno (S. Th. Mor., I, 601). 
- Hunter afferma che di fronte alle decisioni non infallibili può essere lecito “temere un errore, assentire condizionatamente o anche sospendere l’assenso” (Th. Dogm., I. 492). 
- Cartechini sostiene che l’assenso interno alle decisioni non infallibili può essere negato nel caso in cui il fedele “avendo l’evidenza che la cosa ordinata sia illecita, può sospendere l’assenso… senza timore e senza peccato” (Dall’Op. al Dom., 153-154). 
- Dom Paul Nau spiega che l’assenso può essere sospeso o negato se vi è “una precisa contraddizione tra un testo dell’enciclica e altre testimonianze della tradizione” (Une source doct., 84).
Assolutizzazione impropria della nozione di assistenza divina 
9 - Qui sta l’errore grave, gravido di conseguenze ancora più gravi e perfino gravissime, nel quale incorre l’illustre e venerabile Vicario Generale dell’Opus Dei. Egli sostiene che il Magistero, assistito dallo Spirito Santo, sarebbe in ogni caso e necessariamente immune da ogni deviazione dottrinale. Ora, come il Magistero ordinario di ogni tempo, benché assistito dallo Spirito Santo, non sempre è coperto dall’infallibilità, così il Magistero odierno, pur contando sull’assistenza divina, non per questo presenta la garanzia assoluta dell’essere esente da errore. In tal modo, alcuni insegnamenti del Magistero ordinario possono divergere dalla Tradizione, anche gravemente. Questo è quanto si deduce logicamente dalla Lettera Apostolica Tuas libenter, nella quale Pio IX espone le diverse condizioni necessarie perché il Magistero ordinario goda dell’infallibilità, condizioni che chiaramente il Vaticano I non ha rimosso nel sintetizzare questa dottrina nell’espressione “Magistero ordinario universale” (questa questione richiederebbe uno studio molto ampio, che ho intenzione di elaborare a breve). 
10 - Le nuove dottrine del Vaticano II indicate come divergenti dalla Tradizione – come la libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo, ecc. – possono costituire un insegnamento diverso (si quis aliter docet – I Tim., 6, 3) senza che con questo si possa dire che l’assistenza divina dello Spirito Santo abbia fallito, né che sia stata vulnerata l’indefettibilità della Chiesa. Tutti i giorni, fino alla fine del mondo 
11 - Pertanto, non si può affermare, senza ulteriori precisazioni, l’infallibilità assoluta dei pronunciamenti papali e conciliari: né in nome di una infallibilità magisteriale, né in nome dell’obbedienza dovuta dai fedeli a Pietro, né in nome di una pretesa sicurezza nell’accettazione di tutto quanto dichiara il Magistero autentico non infallibile, né tampoco in nome di qualche altra dottrina teologica o para-teologica che si possa escogitare; la verità è che nella Rivelazione niente assicura che i pronunciamenti non infallibili possano, in questa o in quella forma, essere infallibili. Qui ripeto che le tesi dell’eminente Mons. Ocáriz si discostano dalla retta via. 
12 - Guardiamo a questa questione con la dovuta attenzione. Non v’è dubbio che vi sono dei documenti della Sede Apostolica e della teologia tradizionale che affermano, senza maggiori distinzioni, che tutti gli insegnamenti dottrinali dei papi e dei concilii devono essere accolti dai fedeli, anche se non sono infallibili e quindi anche se non sono dotati del carisma dell’infallibilità. Ma qui si introducono delle sfumature dell’ermeneutica in generale e della sacra esegesi in particolare: come non si può assumere in modo monolitico il “non uccidere” del Decalogo, perché esso comporta delle eccezioni, per esempio quella della legittima difesa, così non si può considerare assoluto il principio che si devono sempre, in ogni caso, accettare gli insegnamenti non dotati del carisma dell’infallibilità. Il prestito a interesse fu vietato, poi ammesso, passando per mille vicissitudini. I riti cinesi conobbero le stesse esitazioni. 
L’altra faccia della medaglia: il papa eretico e il papa scismatico. 
13 - Questa medaglia ha due facce. Se da un lato la dottrina tradizionale ammette la possibilità di errore nell’insegnamento non infallibile del Magistero supremo, come in effetti è ammesso inequivocabilmente, dall’altra ammette anche parallelamente, senza alcuna valenza sedevacantista, le ipotesi di un papa eretico e di un papa scismatico. 
14 - Circa il papa eretico: 
San Roberto Bellarmino, San Francesco di Sales, Suarez, Domenico Soto, Buix, Coronata e tanti altri tra i maggiori maestri della scolastica, ammettono la tesi che un papa possa cadere nell’eresia. Pietro Ballerini, il cui lavoro fu importante per la definizione dell’infallibilità nel Vaticano I, vede nell’ipotesi di un papa eretico “un pericolo imminente per la fede e tra gli altri il più grave di tutti”, di fronte al quale qualsiasi fedele può “resistergli, rifiutarlo e, se necessario, interpellarlo ed esortarlo a pentirsi”, “perché tutti possano essere messi in guardia nei suoi confronti” (De Pot. Eccl., 104/105). 
15 - Circa il papa scismatico: è incontestabile che l’età d’argento della scolastica e la neo-scolastica hanno chiarito che, in periodi di crisi profonda, è possibile in linea di principio che un papa, senza perdere immediatamente il suo incarico, si separi dalla Chiesa cadendo nello scisma. E questo accade quando il Sommo Pontefice “sovverta tutte le cerimonie ecclesiastiche”, “disobbedisca alla legge di Cristo”, “ordini qualcosa contraria al diritto naturale o divino”, “non osservi ciò che è stato ordinato universalmente dai concilii universali e dalla autorità della Sede Apostolica, soprattutto in relazione al culto divino”, “non osservi il rito universale del culto ecclesiastico”, “smetta di rispettare, ostinatamente, quanto stabilito dall’ordine comune della Chiesa”, rendendo così possibile ed eventualmente obbligatorio in coscienza “resistergli”. A tal punto che in questi casi il card. Caietano dice, sempre senza alcuna valenza sedevacantista, che “né la Chiesa sarebbe in lui, né lui nella Chiesa” (II - II, q. 39, a. 1, n. VI). 
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Sottopongo rispettosamente le presenti considerazioni al reverendissimo Vicario Generale dell’Opus Dei e, relativamente a quanto stabilisce la Chiesa, alla Sede di Pietro, colonna e fondamento della Verità, oggetto di tutto il mio amore e della mia devozione fin dal giorno in cui, congregato mariano, ho appreso a venerare la sacrosanta dottrina della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana; mentre le sottopongo ugualmente ai teologi tradizionali dei nostri giorni. 
Per le chiare ragioni che molti di essi hanno presentato, e per queste mie stesse considerazioni, ritengo che niente, in teologia dogmatica e morale, obblighi ad assentire alle nuove dottrine del Vaticano II, le quali, come dice lo stesso Mons. Ocáriz, «sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione». 
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 Fonte Una Vox, gennaio 2012 tramite Chiesa e post concilio

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