venerdì 13 gennaio 2012

Introduzione a LA VERA NOZIONE DEL MAGISTERO

 
“O Signore, di cui i Santi Innocenti hanno confessato la lode, non parlando, ma morendo, mortifica in noi ogni male dei vizi;
affinché la Fede in Te, che è professata dalla nostra lingua, sia messa in pratica anche dalla nostra buona condotta”
(Messale Romano, Colletta della Messa dei Santi Innocenti, 28 dicembre).
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Avvertenza

Introduzione per rendere accessibile a tutti quanto verrà scritto dalla Rivista quindicinale “sì sì no no” (del 15 gennaio 2012) e pubblicato anticipatamente (il 28 dicembre 2011), per gentile concessione, su vari blog circa il tema della Tradizione e del Magistero. Il sito “chiesaepostconcilio” lo ha già anche pubblicato, ma “in forma non ultimata. La questione è di massima importanza, specialmente in questi giorni in cui, anche in ambiente antimodernista, sono apparse pubblicazioni inesatte (per eccesso o per difetto) su questi due temi. Spero che questo breve sunto riesca a fare chiarezza e a rasserenare gli animi. 

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Tradizione/Magistero

●Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno esagerato la portata del Magistero, facendone un ‘Assoluto’ oppure lo hanno minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di ‘interpretare la Tradizione e la S. Scrittura’. Onde evitare gli errori per eccesso (che assolutizza il Magistero) e per difetto (che minimizza la sua realtà) su questo argomento, riassumo quanto ha scritto in passato[1] e recentemente mons. Brunero Gherardini (cfr. Disputationes Theologicae) e quanto si trova nei migliori manuali di ecclesiologia, che verranno citati in nota. 

●Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un ‘Assoluto’ e non un ‘ente creato’, un ‘Fine’ e non un ‘mezzo’, un ‘Soggetto indipendente’ (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente in questo mondo ha la qualità dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Solo Dio è l’unica realtà ultima o assoluta, infinita ed increata.
 
●Sulla Tradizione la Chiesa esercita un ‘discernimento’ che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un “munus”, appunto il “munus docendi”, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente (Papa e Vescovi in unione col Papa). Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini la divina Rivelazione con autorità.
 
●Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a Sé[2] (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretare e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà, ossia come Dio l’ha trasmessa.
 
●Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, vale a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio nella verità del “munus docendi” e dunque l’errore è scongiurato in partenza, senza condizioni, le quali invece sono richieste e definite dal Concilio Vaticano I, come vedremo oltre. Un altro procedimento più che sbrigativo consiste nel negare al Magistero ogni “munus docendi et interpretandi” le due fonti della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura).
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Il Magistero della Chiesa
 
●Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale.
 
●Magistero Solenne Straordinario Conciliare è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale o non permanente e non stabile e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.
 
●Magistero Solenne Personale Pontificio: il Papa che in quanto Papa (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”) definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.
 
●Il Magistero Ordinario si divide in Universale o Pontificio. Innanzitutto Ordinario significa che quanto al modo di esercizio è comune, non è solenne, non è eccezionale o “extra-ordinario”, ma è solo normale, abituale, ossia “ordinario”. Quindi non è l’insieme dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma in quanto trasmette la Rivelazione, che è contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e, persino infallibile se vuole adempiere alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia definire e obbligare a credere, anche se in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare. Esso in questo ultimo caso trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne in tale trasmissione della Rivelazione.
 
●Magistero Ordinario Universale: la trasmissione delle verità divinamente rivelate viene fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
 
●Magistero Ordinario Papale: la trasmissione viene fatta dal Papa in quanto tale e in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile se da solo definisce ed obbliga a credere ed anche se riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”).
 
●Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale o sostanziale è la volontà di definire ed obbligare a credere una verità di Fede e Morale, sia in maniera solenne sia in maniera comune o ordinaria.
 
●Il Magistero è la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e propone a credere con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
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I termini esatti della questione
 
●Il ‘dogma’ è una verità rivelata da Dio e contenuta nel Depositum Fidei: Tradizione e S. Scrittura (dogma materiale) e poi proposta a credere come necessaria per la salvezza eterna, quale divinamente rivelata o di Fede (dogma formale), dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800)[4]. Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema[5].
 
●La ‘definizione dogmatica’ è la dichiarazione obbligante della Chiesa su una verità rivelata e proposta obbligatoriamente a credere ai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario (Papa che insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e definita dalla Chiesa[6]), sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo (una dichiarazione solenne o ‘extra-ordinaria’ del Papa o del Concilio[7]). Tale definizione dogmatica si chiama pure dogma formale o verità di Fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792[8]» (P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Attenzione però, se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di Fede rivelata ed obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792).
 
●‘L’infallibilità’[9] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di obbligare, definire, proporre obbligatoriamente a credere come dogma una verità contenuta nel Deposito della Rivelazione scritta o orale. Per cui il Magistero è realmente la ‘regola prossima’ della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa[10], che interpreta la Rivelazione e propone a credere, con obbligatorietà, ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
 
●I ‘Luoghi Teologici’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (Melchior Cano, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Monsignor Antonio Piolanti scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa, il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246). Perciò erra gravemente chi separa le definizioni dei Concili e dei Papi dal Magistero e riduce, così, il Magistero ad un accidente contingente, nato con la crisi neomodernista alla quale Pio XII avrebbe risposto con l’Enciclica Humani generis (1950) lanciando l’idea di Magistero come baluardo contro la nouvelle théologie. No! il Magistero, come spiega Melchior Cano nei “Luoghi teologici”, è “la voce del Pastore” e interpreta realmente la Scrittura e la Tradizione, altrimenti basterebbero la sola Bibbia e il solo Denzinger, mentre Cristo ha detto ai suoi Apostoli: “Andate e insegnate a tutti i popoli” (Mt., XXVIII, 18). Quindi il mezzo stabilito da Cristo per la diffusione della dottrina evangelica non è la sola Scrittura o la sola Tradizione orale, ma il Magistero vivo, cui Egli assicura (a certe condizioni) un’assistenza (infallibile) sino alla fine del mondo. Il cardinal Pietro Parente scrive che il Magistero è perciò: “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina. […]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la ‘regola remota’ della Fede, mentre la ‘regola prossima’ è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250).
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Tradizione, Assistenza divina e Magistero
 
●Sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di Tradizione è sempre collegato 1°) all’Assistenza di Dio, poiché, senza l’aiuto dello Spirito di Verità, la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolamento di errori. Inoltre il concetto di Tradizione è inseparabile 2°) dal Magistero che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene tramandata; il senso pieno di Tradizione lo si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti (passivo e attivo) di cui il secondo è assai importante, di modo che una “tradizione” anche del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa non costituirebbe ‘vera’ Tradizione divino-apostolica, al massimo avrebbe un valore di documentazione storica, ma non di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è una certa distinzione ma non è totale, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia + Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minimale o addirittura contingente che svolge il Magistero nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale[11].
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Rapporto tra Tradizione e Magistero
 
●La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo (Tradizione passiva e oggettiva). La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è “l’organo” della Tradizione. Mentre gli “strumenti” in cui si è conservata sono i Simboli di Fede, gli scritti dei Padri, la Liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri ed i monumenti archeologici.
 
●Perciò la Tradizione si può considerare sotto due aspetti: 1°) in senso attivo (soggettivo o formale), essa è l’organo vivo o il soggetto (persone o istituzioni/Papa e Chiesa) il quale funge da canale di trasmissione; 2°) in senso passivo (oggettivo o materiale) è l’oggetto o deposito trasmesso (Dottrina e Costumi)[12].
 
●La Tradizione di cui ci occupiamo in questo articolo è quella sacra o cristiana e non quella profana. La Tradizione cristiana si divide in a) Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli); b) Tradizione divino-apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo). Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli, in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, trasmesse agli uomini incorrotte sino alla fine del mondo: esse sono oggetto di Fede divina.
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Esiste una Tradizione “vivente”?
 
●I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro. Il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo. Questa è la funzione del Magistero: mediare, interpretare e attualizzare o trasmettere l’insegnamento divino, ma sempre agganciandosi alla Tradizione ricevuta e quindi già trasmessa. Non si tratta di far vivere una Fede nuova, ma di tramandare e far ricevere o rivivere continuamente e nuovamente l’unica Fede predicata da Cristo e dagli Apostoli, sino alla fine del mondo. Tale funzione non contiene e non propone nessuna novità sostanziale, ma solo ribadisce in maniera nuova e approfondita o esplicitata la stessa verità contenuta nella Scrittura e nella Tradizione. Da questa trasmissione della Fede è totalmente assente ogni ombra di contraddizione tra verità antiche e nuove e lo sviluppo o approfondimento deve avvenire “nello stesso senso e nello stesso significato” (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, XXIII). Solo in tale senso si può parlare anche di Tradizione “viva”, non in quanto “cangiante”, ma “omogeneamente crescente”[13]. Non vi è Tradizione, non sussiste verità cattolica dove si trova contraddizione, contrarietà o concorrenza tra “nova et vetera”. Il cardinal Pietro Parente su L’Osservatore Romano del 9-10 febbraio 1942 già scriveva: «c’è da deplorare […] la strana identificazione della Tradizione (fonte della Rivelazione) col Magistero vivo della Chiesa (custode ed interprete della divina Parola)». In breve vi è una distinzione tra Tradizione e Magistero nel senso che il secondo custodisce, spiega e propone a credere le verità contenute nella Tradizione ed è molto pericoloso identificare la Tradizione col Magistero vivente, perché si finisce col dare alla prima un carattere intrinsecamente evolutivo o al contrario relativizzare talmente il Magistero rispetto alla Tradizione sino a minimizzarlo o quasi annichilarlo. Sono i due errori, per eccesso e per difetto, che si riaffacciano oggi.
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Riassumendo
 
Quanto ai rapporti tra Magistero e Tradizione, il Magistero custodisce, spiega e interpreta la Parola di Dio scritta o orale. Quindi Magistero e Tradizione non sono identici. Il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione[14]

●Il Magistero è assistito da Dio. Tuttavia quest’assistenza non è assoluta, ma limitata alla trasmissione della Rivelazione. Dunque, lungi dal costituire la dottrina o la Verità, l’atto del Magistero la conserva e la dichiara: il Magistero si definisce come tale in dipendenza oggettiva dalla Rivelazione divina, di cui deve assicurare la trasmissione e non deve “inventare” nuove dottrine sostanzialmente diverse da quella Rivelata, che può essere approfondita. 

●L’assistenza è data al Papa perché egli possa preservare la Fede della Chiesa. Se si perde di vista il giusto rapporto che fa dipendere il Magistero dalla Tradizione oggettiva, il Dio rivelatore rischia di passare in secondo piano a vantaggio del Magistero custode ed interprete, il ‘Creatore’ cederebbe il passo alla ‘creatura’, il ‘Fine’ al ‘mezzo’, l’ “Assoluto” allo ‘strumento’. Ma ciò è contraddittorio. Quindi ripugna, ossia è assolutamente impossibile. 

d. CURZIO NITOGLIA
 
30 dicembre 2011
 

 
 
[1] Brunero Gherardini, Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
[2] In filosofia scolastica oltre che di ‘Assoluto’ si usa anche il termine di ‘A se’ o ‘Aseitas’ per indicare Dio, che non è ‘ab alio’, non dipende da nessun altro, ma solo da Se stesso (‘Ipsum Esse subsistens’). Invece ogni creatura, anche l’Angelo, è ‘ab alio’ o è creato da Dio quindi è ‘dipendente’ e non ‘Assoluto’.
[3] A. Lang, Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.
[4] Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Defnizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.
[5] Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.
[6] Per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile; oppure i Vescovi sparsi nel mondo assieme al Papa. Per es. Pio XII che chiede ai Vescovi di tutto il mondo se reputano rivelata e definibile l’Assunzione di Maria SS. in Cielo.
[7] Per esempio Pio IX, che definisce da solo l’Immacolata Concezione o il Concilio Vaticano I, che definisce l’Infallibilità pontificia.
[8] «Sono da credersi di Fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».
[9] Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.
[10] Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.
[11] Cfr. J. B. Franzelin, De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot, De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort, Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani, Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi, La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx, Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini, Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini, Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it., La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973.
[12] Cfr. G. Mattiussi, L’immutabilità del dogma, in “La Scuola cattolica”, marzo 1903.
[13] Cfr. A. Marìn Sola, L’evolution homogène du dogme, Friburgo, 1924.
[14] Cfr. J. Salaverri, De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n° 805 ss.

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