domenica 25 marzo 2012

ROMANO AMERIO - IOTA UNUM - LO SVOLGIMENTO DEL CONCILIO


Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.

1.1   Il discorso inaugurale: l’antagonismo col mondo e la libertà della Chiesa – 

Già nella ricognizione del testa si levano problemi canonici e filologici (per alcuni sulla redazione influì una mente non papale).
Si apre con un aut aut ai cattolici respingendo neutralità  ed utralità (cioè il pareggiamento) tra mondo e vita celeste, dovendosi ordinare tutte le cose del tempo al destino eterno.    
Tra l’altro si riafferma che “gli uomini hanno il dovere di tendere al conseguimento dei beni celesti sia singolarmente presi, sia socialmente uniti”. Concetto tradizionale della signoria assoluta di Dio.
Il secondo capo saliente è la condanna del pessimismo di coloro che nei tempi moderni non vedono che “prevaricazione”. Il papa riconosce nel nuovo corso del mondo le alienazioni dalle sollecitudini spirituali, che trova in qualche  modo bilanciate dalle “condizioni della vita moderna che hanno tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli con cui un tempo i figli del secolo impedivano la libera azione della Chiesa”. Rimane il dubbio se il Papa avesse in mente l’indebita ingerenza che Impero e Monarchie assolute esercitarono sulla Chiesa in tempi in cui ultimamente tutto dipendeva dalla religione. Oppure pensasse alle vessazioni subite dalla Chiesa dal ‘700 in qua ad opera dello Stato liberali ai tempi in cui la separazione dalla sfera civile preparava al presente condizione di civiltà. Sembrerebbe piuttosto il primo che il secondo tenendo presente però che all’asservimento della Chiesa alla potestà civile la Chiesa riluttò tanto in teoria quanto in pratica; e anche il diritto di veto fu più volte tenuto per nullo nei Conclavi.
Il giudizio ottimistico del Papa circa l’attuale libertà concorda con il fatto di una Chiesa sollevata dal dominio temporale, ma non poteva sfuggire al Papa che ad interi episcopati nazionali era impedita la partecipazione al Concilio.
Conviene anche ricordare che quella lamentata servitù costituiva un aspetto della compenetrazione della vita religiosa nella società, compenetrazione dovuta all’imperfetta distinzione dei valori subordinati, religiosi e civili che si prendevano come un tutto insieme informato dalla religione.
Ma occorre ricordare a proposito della reale libertà del Concilio che con gli accordi di Metz (agosto 1962) tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, attraverso i quali si ottenne che il Patriarcato di Mosca avrebbe accolto l’appello papale di inviare osservatori al Concilio, in cambio dell’astensione dalla condanna del comunismo. Benché il bollettino del Partito Comunista francese avesse rivelato la condizione posta da Mosca che il Concilio tacesse del comunismo, calò su di essa un silenzio mediatico non essendo ripresa dalla stampa né propalata, sia per larga apatia e anestesia dei ceti ecclesiali circa la natura del comunismo, sia per una potente azione silenziatrice voluta dal Pontefice stesso. Ma potente, benché silente, ne fu l’effetto sullo svolgimento del Concilio dove la richiesta di reiterare la condanna fu rigettata.
L’assemblea si pronunciò specificatamente sul totalitarismo, sul capitalismo, sul comunismo, sul colonialismo, ma celò il suo giudizio sul comunismo dentro il giudizio generico sulle ideologie totalitarie.
L’INDEBOLIMENTO DEL SENSO LOGICO, PROPRIO DELLO SPIRITO DEL SECOLO, LEVA ANCHE ALLA CHIESA LO SPAVENTO PER LA CONTRADDIZIONE. Nel discorso inaugurale si celebra la libertà della Chiesa proprio mentre si confessa che moltissimi vescovi sono imprigionati per la fedeltà a Cristo. Ma questa contraddizione, pur grande è minore, rispetto alla contraddizione di fondo per la quale si poggia IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA SULL’APERTURA AL MONDO stralciando dai problemi del mondo il problema del comunismo.

1.2 Il discorso inaugurale. Poliglossia e polisenso testuale – 

Il terzo capo del discorso del Papa tocca il cardine su cui ruota il Concilio: come la verità cattolica possa comunicarsi al mondo contemporaneo “pura e integra senza attenuazioni o travisamenti, ma insieme in modo tale che la mente dei contemporanei sia facilitata nel dovere che le corre di assentire ad essa”. Si trova qui un intoppo perché tra testo italiano e versione italiana del discorso c’è discrepanza. Versione latina: ”Occorre che questa dottrina certa e immutabile alla quale si deve prestare un fedele ossequio, venga approfondita ed esposta in quel modo che i tempi richiedono”.  La traduzione italiana, riprodotta in tutte le versioni originali del Concilio suona così: ”Anche questo però studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno”. Un conto è fare in modo che ripensamento ed esposizione della dottrina cattolica si facciano in maniera appropriata ai tempi (concetto comprensivo e largo) un altro che si faccia SEGUENDO I METODI DEL PENSIERO, CIOE’ DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA. Per esemplificare: un conto è presentare la dottrina appropriata alla citeriorità (vicinanza) peculiare della mentalità moderna e un altro che essa si pensi e si esponga seguendo quella stessa mentalità. Per fare un altro esempio l’accostamento alla mentalità moderna non richiede l’analisi marxistica bensì adattare a quella mentalità l’opposizione cattolica.
In realtà si tratta del come reprimere gli errori. Ma si deve osservare: 1) il polisenso nascente dalla difformità delle traduzioni attesta la PERDITA DI QUELLA ACRIBIA (precisione critica, meticolosità) che fu costume della Curia; 2) Il polisenso entrò in successive allocuzioni del Papa che citava ora secondo il latino ora secondo la traduzione; 3) furono diffuse traduzioni, a scapito della versione latina, e il fatto che queste traduzioni consuonino fa congetturare la possibilità di una cospirazione.

1.3 Il discorso inaugurale: nuovo atteggiamento di fronte all’errore – 

La stessa incertezza  genera il discorso in cui si distingue tra l’immutabile sostanza dell’insegnamento cattolico e la variabilità delle sue espressioni. La versione latina: “Altra cosa infatti è il deposito della fede preso in sé stesso, cioè le verità contenute nella nostra venerabile  dottrina, e altra cosa il modo in cui queste medesime verità si enunciano mantenendo però il medesimo senso e il medesimo  contenuto. Bisogna invero attribuire molta importanza a un tale modo e lavorare in questo, se occorrerà, con pazienza: si dovranno cioè nell’esporre le verità introdurre quei modi che più convengano all’ammaestramento, la cui indole è principalmente pastorale”. Questa invece la traduzione italiana: ”Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei e altra è la formulazione del suo rivestimento ed è di questo che devesi con pazienza tener gran conto, tutto misurando nella forma e  proporzione di un magistero a carattere prevalentemente pastorale”. Il divario è grande e dà luogo a due supposizioni: o il traduttore italiano ha inteso afre una parafrasi, oppure la traduzione è il testo base.
Vistosa è l’omissione nella traduzione italiana delle parole “nello medesimo senso e nel medesimo contenuto”. Alle quali è attaccato il rapporto tra verità da credere e la formula con cui essa si esprime.
E’ invece una novità l’atteggiamento d assumere di fronte agli errori: pur non intendendo indebolire la sua opposizione all’errore preferisce “al giorno d’oggi far uso della medicina della misericordia piuttosto che delle armi della severità”. Essa intende contrastare l’errore “mostrando al validità della sua dottrina piuttosto che con le condanne”. L’annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola sul fatto che, nella mente della Chiesa, LA CONDANNA STESSA DELL’ERRORE E’ OPERA DI MISERICORDIA, poiché trafiggendo l’errore, si corregge l’errante e si preserva altrui dall’errore. Inoltre verso l’errore non può propriamente esservi misericordia o severità poiché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre l’errore ripugna all’intelletto con un atto logico che si oppone  a un giudizio falso. La misericordia è il dolore della miseria altrui accompagnata dal desiderio di soccorrere non può quindi farsi verso l’errore, ma soltanto verso l’errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l’errore. In tal modo il Papa dimezza l’officio esercitato dalla Chiesa verso l’errante alla sola presentazione della verità: e questa basterebbe per sé stessa , senza venire a confronto con l’errore, a sfatare l’errore. L’operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo alla didascalia del vero, fidando nell’efficacia di esso a produrre l’assenso dell’uomo e a distruggere l’errore.
Questa dottrina del Pontefice costituisce una variazione rilevante nella Chiesa Cattolica. I moderni sono così profondamente penetrati  di opinioni fallaci specie in materia morale che “ormai gli uomini da sé stessi [senza confutazioni e condanne] sembra che siano propensi a condannarle e in specie quei costumi di vita che disprezzano Dio  e la sua legge”. Che l’errore teoretico, che nasce da cause logiche, possa correggersi da solo è ammissibile, ma che l’errore pratico circa le azioni della vita, che dipende da un giudizio del pensiero, si risani da sé, è difficilmente comprensibile. Difficile anche concedere a quella interpretazione ottimistica che l’errore si correggerebbe da sé, è smentita dai fatti. Gli uomini non si ricredettero da quegli errori, ma anzi vi si confermarono e diedero loro vigore di legge, palese con l’adozione del divorzio e dell’aborto. Il costume dei popoli cristiani è interamente mutato e  le loro legislazioni civili, quasi esemplate sul diritto canonico, furono mutate in legislazioni puramente profane senza più ombra di sacro.

1.4 Reiezione del Concilio preparato. La rottura della legalità conciliare – 

Il lavoro preparatorio è stato rigettato non tanto per  un atto interno del Concilio svolgentesi nella sua regolarità legale ma per un fatto di rottura della legalità conciliare. Nella discussione alla XXIII Congregazione su lo schema de fontibus Revelationis vi fu un contrasto tra chi volva rimanere legato alla formula tridentina (Rivelazione contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte) presi come due fonti, rispetto a quelli che volevano riaffermare la dottrina in modo meno ostico per i protestanti che rifiutano la Tradizione. Per risolvere il contenzioso si propose  di rimaneggiare interamente lo schema.  Ma i voti raccolti non raccoglievano la maggioranza qualificata richiesta di due terzi. Dato il risultato si annunciò la prosecuzione della discussione, ma l’indomani il Papa fece annunciare di rifondare lo schema da una nuova commissione, per renderlo più breve e far spiccare meglio i principi generali definiti dal Tridentino e dal Vaticano I. Con questo intervento si operò una rottura  della legalità passando dal regime collegiale al regime monarchico.  La rottura della legalità significò un nuovo cursus se non dottrinale, almeno di orientamento dottrinale.

1.5 Ancora rottura della legalità conciliare – 

L’Assemblea avrebbe dovuto eleggere i membri di sua spettanza (16 su 24) delle 10 commissioni deputate a esaminare gli schemi redatti dalla commissione preparatoria. La sola obiezione possibile era che essendo solo il terzo giorno l’elezione fosse troppo precipitosa non conoscendosi ancora sufficientemente. Il Card. Lienart se ne fece interprete, chiese  al card. Tisserant presidente dell’Assemblea di poter parlare, ma conformemente al regolamento non gli fu concesso. Il presule rompendo la legalità afferrò il microfono (tra gli applausi)  elesse una dichiarazione secondo cui era impossibile votare senza previa affermazione sulla qualità degli eligendi e previa consultazione delle Conferenze nazionali. La votazione non ebbe luogo, al congregazione fu sciolta e le commissioni furono poi formate con larga immissioni di elementi estranei al lavori preconciliari. Liénart nelle sue memorie interpretò il gesto come un’ispirazione carismatica.  Così il Concilio sarebbe stato comandato a Giovanni XXIII, secondo la sua testimonianza,  da una suggestione dello Spirito e il Concilio da lui preparato avrebbe subito una brusca voltata per una mossa che lo stesso Spirito diede a Liénart. Chenu e Congar parlando dei testi della Commissione preparatoria li definirono astratti, antiquati, estranei alle aspirazioni dell’umanità contemporanea. Il nuovo testo approvato da Giovanni XXIII (e da Liénart e Garrone, Frings e Dopfner, Alfrink, Montini e Léger) svolgeva questi motivi: che il mondo moderno aspira al Vangelo, che tutte le civiltà contengono una virtualità che le spinge al Cristo, che il genere umano è unità fraterna al di là delle frontiere, dei regimi, delle religioni, che la Chiesa lotta per la pace, lo sviluppo e la dignità degli uomini. Il testo poi modificato non perse il carattere originario antropocentrico e mondano.

1.6 L’azione papale nel Vaticano II. La “Nota praevia” – 

Con Giovanni XXIII l’azione papale al Concilio apparve come desistenza dal preparato Concilio e condiscendenza al movimento che il Concilio, rotta la continuità della preparazione volle darsi da sé stesso.
Paolo VI benché assecondasse in generale il moto del Concilio ammodernante annunciato nell’allocuzione si trovò a doversi separare da sentimenti in esso predominanti e a far uso dell’autonoma autorità papale in alcuni momenti.
Sul principio della collegialità sino ad allora solo implicito nell’ecclesiologia cattolica Paolo VI volle che quanto scritto nella Lumen Gentium si chiarisse e determinasse in una Nota praevia della Commissione teologica che riaffermò il principio cattolico del primato potestativo e didattico del Papa. La Nota praevia  respinge della collegialità l’interpretazione classica secondo al quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è solo il Papa che la condivide, quando voglia con l’universalità dei vescovi da lui chiamati a Concilio. La potestà somma è collegiale solo per comunicazione ad nutum(per volontà) del Papa. E respinge la dottrina neoterica, secondo cui il soggetto della suprema autorità della Chiesa è il collegio unito col Papa e non senza il Papa che ne è capo appunto del collegio e quindi come rappresentante del collegio che egli ha l’obbligo di consultare per esprimerne il senso. Teoria improntata a quella dell’origine moltitudinaria dell’autorità difficilmente compatibile con al costituzione divina della Chiesa. In entrambe le teorie si tiene che  la potestà  suprema sta nel collegio dei vescovi unito al loro Capo, ma che il Capo può esercitarla indipendentemente dal Collegio, mentre il Collegio non può indipendentemente dal capo.
L’attitudine del Vaticano II a sciogliersi dalla stretta continuità colla tradizione e a crearsi forme, modalità e procedure atipiche, no si sa se sia da attribuire allo spirito ammodernante che lo investì e diresse o alla mente e all’indole di Paolo VI. Il risultato fu un rinnovamento o meglio una novazione dell’essere che toccò strutture, riti, linguaggio, disciplina, atteggiamenti, aspirazioni, la faccia della Chiesa destinata a presentarsi al mondo nuova.
Non va lasciata cadere neppure la novità formale della Nota praevia: nella storia dei Concili non v’è esempio di un glossema (spiegazione) di tal genere apposto a una Costituzione dogmatica; sembra inoltre inesplicabile che nell’atto medesimo in cui promulga un documento dottrinale, il Concilio, dopo tante consultazioni, emendamenti, accoglimenti e reiezioni di modi, emani un documento così imperfetto da dovervi accompagnare una chiosa esplicativa. Infine una curiosa  singolarità della Nota: si dovrebbe leggere prima della Costituzione a cui è allegata e viceversa si legge stampata dopo di essa.

1.7 Ancora l’azione papale nel Vaticano II. Interventi sulla dottrina mariologica. Sulla morale coniugale – 

In ossequio alla causa unionis sulla Madonna doveva bastare un semplice capitolo e non uno capitolo come quello che la Commissione preparatoria aveva approntato. Sin dall’inizio il Sinodo si era trovato sotto gli influssi delle scuole teologiche tedesche influenzate dalla mariologia protestante che non si voleva contraddire. Questa, come gli islamici, le riserva una venerazione ma le rifiuta il culto che la Chiesa le riserva.
Paolo Vi voleva attribuirle il titolo di Madre della Chiesa da consacrarsi nello schema sulla Beata Vergine o per lo meno che fosse consacrato nel capitolo del de Ecclesia a cui lo schema fu ridotto. Ma non lo voleva l’assemblea. Il titolo era fondato sulla ragione teo-antropologica: essendo Maria madre vera del Cristo ed essendo il Cristo il capo della Chiesa e per così dire la Chiesa contratta (come la Chiesa, secondo il Cusano, è il Cristo espanso) il passaggio da Maria madre di Cristo a Madre della Chiesa è ineccepibile. Ma la maggioranza del Sinodo ritenne questo titolo non specificatamente diverso da quelli ondeggianti tra il poetico e lo speculativo (che sono di incerto significato), considerandolo carente di base teologica e di ostacolo alla causa unionis  e manifestò la sua contrarietà alla proclamazione. Paolo VI allora con un atto di autonoma autorità, procedette alla proclamazione solenne nel discorso di chiusura della terza sessione (21 novembre 1964), accolto in silenzio in un assemblea altrimenti scorrevole all’applauso.  Anzi, l’atto del Papa suscitò vive rimostranze.
Per bocca dei cardinali Lèger e Suenens risuonarono in aula teorie nuove sulla dottrina del matrimonio che abbassavano il fine procreativo del coniugio e aprivano il varco alla sua frustrazione, mentre elevavano il fine unitivo e di donazione personale a suo pari o addirittura maggiore. Paolo Vi fece pervenire alla Commissione quattro emendamenti con l’ordine di inserirli nello schema.  Si doveva espressamente insegnare l’illiceità dei mezzi contraccettivi non naturali; dichiarare che la procreazione non è un fine accessorio o parallelo del matrimonio, rispetto all’espressione dell’amor coniugale, ma necessario e primario. Tutti gli emendamenti erano appoggiati a testi della Casti Connubii di Pio XI che si sarebbero dovuti inserire. Gli emendamenti furono ammessi, i testi di Pio XI, no.
La questione dei contraccettivi veniva demandata a una commissione papale e poi decisa con l’enciclica Humanae vitae. La commissione conciliare escluse i testi di Pio XI, ma Paolo VI li fece aggiungere d’imperio nello schema che il Concilio approvò nella IV sessione.
1.8 Sintesi del Concilio nel discorso di chiusura della quarta sessione. Confronto con Pio X. Chiesa e mondo – Il discorso ha un carattere ottimistico che lo ricongiunge al discorso di apertura di Giovanni XXIII: la concordia tra i Padri è “meravigliosa”, l’ora della conclusione è “stupenda”. Le parti nere non vengono taciute ma vengono investite dello spirito eutimico (ottimista). Così la diagnosi del presente stato del mondo riesce ultimamente e apertamente positiva.
Il papa riconosce la generale dislocazione della concezione cattolica della vita, ma nel discorso appare manifesto il riconoscimento della tendenza dell’uomo moderno alla citeriorità (immanenza) e il progressivo fastidio di ogni ulteriorità e trascendenza. Ma fatta questa esatta diagnosi del vacillamento moderno il papa la mantiene nell’ambito puramente descrittivo e non riconosce alla crisi il carattere di un’opposizione principale alla assiologia (dottrina dei valori umani) cattolica.
Pio X nell’enciclica E supremi apostolatus aveva riconosciuto con diagnosi identica a Poalo VI che lo spirito moderno è spirito d’indipendenza, dando a questo spirito carattere principiale di questa mondanità che necessariamente cozzava col principio cattolico:: questo pone tutto da Dio a Dio, quello tutto dall’uomo all’uomo. Pio X vedeva l’uomo moderno farsi io e pretendere l’adorazione, Paolo VI dice espressamente che “la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con al religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”. E tuttavia Paolo VI pensa che grazie al Concilio, lo scontro abbia prodotto non un urto, una lotta, un anatema, ma una simpatia immensa, un attenzione nuova della Chiesa ai bisogni dell’uomo. Obiettando che così facendo la Chiesa deflette dalla sua via teotropica e batta la strada antropologica, il Papa oppone così facendo la Chiesa non è deviata nel mondo , ma si è rivolta al mondo. Ma la domanda allora è: rivolta al mondo per raggiungerlo o per attrarlo a sé?
Certo che l’officio di verità della Chiesa discende dall’officio di carità, ma la difficoltà sta nel non trasgredire la verità per ragioni di carità e nell’accostarsi all’umanità moderna che è in movimento antropotropico, non per secondarne il moto, ma per invertirlo. Non si danno due centri del reale ma uno solo.
L’imprecisione del discorso appare anche dall’adozione di due formule contrarie, che cioè “per conoscere l’uomo bisogna conoscere Dio” e che “per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”. Vi sono secondo la dottrina cattolica una conoscenza di Dio possibile per via naturale a tutti gli uomini e una conoscenza di Dio soprannaturalmente rivelata. E similmente due conoscenze dell’uomo. Ma il dire senza distinzione che per conoscere l’uomo bisogna conoscere Dio e viceversa, per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo si ravvisa un circolo vizioso per cui lo spirito non troverebbe un vero inizio da cui muovere sia per conoscere Dio sia per conoscere l’uomo. Tale discorso circa l’uomo e Dio si può estendere dalla cognizione all’amore, giacché il Papa dice che per amare Dio bisogna amare gli uomini, ma tace che è dio che rende amabile l’uomo e che il motivo del doversi amare l’uomo è il doversi amare Dio.  

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.