mercoledì 4 aprile 2012

Amerio - IOTA UNUM - LA CHIESA E LA GIOVENTU'



Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.

1.1   Variazione della Chiesa postconciliare di fronte alla gioventù. Delicatezza dell’opera educativa –

Nella filosofia, nella morale, nell’arte e nel senso comune, ab antiquo sino ai nostri tempi, la gioventù fu riguardata come un’età di imperfezione naturale e morale.
Il giovane è un soggetto in possesso della libertà e deve essere formato ad esercitare la libertà in modo che, scegliendo l’adempimento del dovere (la religione non dà alla vita altro scopo), si determini da sé stesso a quell’unum per il cui raggiungimento è stata data la libertà.
La delicatezza dell’azione educativa deriva dall’avere per oggetto un essere che è un soggetto e come fine la perfezione di esso soggetto. Si tratta di un’azione sopra la libertà umana che non limita ma produce libertà. Per questo rispetto l’azione educativa è una imitazione  della causalità divina la quale secondo la teorica tomistica produce l’azione libera dell’uomo. Per cui l’azione educativa della Chiesa rispetto alla gioventù non può prescindere dall’opposizione dei correlativi che sono l’imperfetto di fronte al perfetto (relativamente, s’intende) e dell’insciente o discente rispetto allo sciente (sempre inteso relativamente).

1.2   Carattere della gioventù. Critica della vita come gioia- 

La gioventù essendo vita incipiente ha bisogno che le venga  rappresentato l’intero della vita cioè il fine in cui la virtualità dell’incipiente deve adempirsi. La vita è difficile o, se si vuole, seria. In primo luogo perché l’uomo è una natura debole. In secondo luogo l’uomo è guasto e inclina al male. E le propensioni malvagie fanno che la condizione della vita umana, tirata da opposti motivi,  sia una condizione di milizia, anzi di guerra. La vita è difficile e le cose difficili sono le cose interessanti. L’uomo NON DEVE REALIZZARSI MA DEVE REALIZZARE I VALORI per cui è fatto e che esigono che egli si trasformi. Ed è curioso che mentre la teologia postconciliare frequenta il vocabolo metànoia (conversione), che vuol dire trasformazione della mente, faccia poi tanta forza sulla realizzazione di sé stesso.
Che la vita umana sia combattimento e fatica era un luogo comune dell’educazione antica, da cui prese forma la favola di Ercole al Bivio.
Oggi la vita è presentata irrealisticamente ai giovani come una gioia, prendendo al gioia in speranza. La durezza dell’umano vivere, dipinto un tempo nelle orazioni più frequentate come valle di lacrime viene dissimulato mentre la felicità vien figurato come lo stato proprio dell’uomo. Perciò ai giovani pare ingiustizia ogni ostacolo da saltare e lo sbarro è riguardato non come prova, ma come scandalo. E gli adulti hanno ripudiato l’esercizio dell’autorità per voler piacere giacché credono non poter essere amati se non carezzano.

1.3   I discorsi di Paolo VI ai giovani – 

Tutti i motivi del giovanilismo del mondo contemporaneo, partecipato dalla Chiesa, si uniscono nel discorso dell’aprile ’71 a un gruppo di Hippies venuti a Roma a manifestare per la pace. Il Papa rileva con lode “i valori segreti” che i giovani vanno cercando e li enumera. Per pima cosa la spontaneità che gli sembra in contraddizione con la ricerca, poiché una spontaneità ricercata cessa di essere spontaneità. E non gli sembra neanche in contraddizione con la moralità che è intenzionalità consapevole.
Il secondo valore della gioventù è “la liberazione da certi vincili formali e convenzionali”, senza però precisare quali siano.
Il terzo è la “necessità di essere sé stessi” Ma  non si chiarisce qual è l’io che il giovane deve attuare e in cui riconoscersi. L’Io vero non esige che il giovane si realizzi comunque, ma che egli si trasformi e diventi persino un altro da sé. La parola del Vangelo non ammette chiosa:” abneget semetipsum (Lc 9,23). Il Papa aveva esortato alla metànoia: realizzarsi o trasformarsi?
Il quarto è lo slancio a “vivere e interpretare il proprio tempo”. Ma il Papa non porge ai giovani la chiave interpretativa del proprio tempo e non rileva che, per la religione, nell’effimero del proprio tempo l’uomo ha da ricercare il non effimero, cioè il fine ultimo.
La semiologia della gioventù che il Papa fece nel discorso del 3 gennaio 1972 è ancora più scopertamente antitetica a quella tradizionale cattolica. Vi sono descritte come qualità positive il naturale distacco dal passato, il facile genio critico, l’antiveggenza intuitiva.Questi caratteri non convengono alla vera psicologia della gioventù e non sono positivi. Lo staccarsi dal passato è un’ impossibilità morale, storica e religiosa: basta dire che per il cristiano tutta la vita e l’impegno di vita dipendono dal battesimo, che è un antecedente, e la famiglia dalla Chiesa che è un antecedente massimo. Che la gioventù abbia genio critico, cioè discernitivo, è difficile sostenere se si riconosce il divenire dell’uomo nella sua formazione e se si distingue il momento maturo da quello immaturo. L’antiveggenza poi è una cosa novissima dato che al giovane si riconosce sempre un vedere tardivamente non solo gli eventi del mondo ma pure l’utile proprio.
Eppure il Papa si spinge a proclamare che “i giovani sono all’avanguardia profetica della causa congiunta della giustizia  e della pace”. Additando un singolare rovesciamento nel quale chi deve seguire è seguito e l’immaturo è di esempio al maturo.

1.4   Ancora del giovanilismo della Chiesa – 

La Conferenza episcopale elvetica si spinse a dichiarare nel 1969 che “la contestazione giovanile porta avanti valori di autenticità, di disponibilità, di rispetto dell’uomo, di insofferenza  della mediocrità, di denuncia dell’oppressione, valori che a ben guardare si incontrano col Vangelo”. Facile notare che i vescovi peccano di indeterminatezza logica.
L’autenticità in senso cattolico non consiste nel porsi naturalmente come si è, ma nel farsi come si deve essere.
La disponibilità è adiafora (indifferente) e si qualifica come buona solo in rapporto al bene  cui l’uomo si rende disponibile.
Il rispetto dell’uomo esclude il disprezzo del passato dell’uomo e il ripudio della Chiesa storica.
L’insofferenza della mediocrità, oltre che mancare di determinatezza (rispetto a che cosa?) è contro la saggezza antica, contro la virtù di contentamento e contro la povertà di spirito.
Che poi “siamo in presenza di nuovi traguardi umani e religiosi” è affermazione che privilegia il nuovo e dimentica non esserci altra creatura nuova che non sia quella ri-fondata dall’Uomo-Dio, né altri traguardi da quelli da Lui prescritti.
Lodare i giovani come “segno dei tempi e come la voce stessa di Dio” è un composto di parole assurdo per la smisuratezza dell’adulazione. Anche lodare i giovani “che vogliono essere protagonisti”  urta contro il principio cattolico dell’umiltà e dell’obbedienza, tanto più che la Chiesa non è composta solo da giovani.
Si può notare anche la consumazione di un’alterazione semantica e che i termini paterno e paternalistico son diventati termini di disprezzo. Ma chi non vede che in un sistema in cui il valore si fa poggiare sull’autenticità e sul rifiuto di ogni imitazione, il primo rifiuto è quello della dipendenza paterna?
Se si divinizza la gioventù la si getta al pessimismo, perché le si fa desiderare di perpetuarsi, mentre non si può. La gioventù è un progetto di non–gioventù e l’età matura non deve modellarsi su di essa, am sulla saggezza maturata.

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