venerdì 13 aprile 2012

AMERIO - IOTA UNUM - LA SCUOLA




CAP. XII - LA SCUOLA

1.1   La scuola nella Chiesa postconciliare - Se dall’opzione per il comunismo o per la rivoluzione trascorriamo alla catechesi, la ragione  che unisce i due argomenti è la ragione che regge tutte le analisi di questo libro e cioè l’ACCOMODAMENTO DELLA CHIESA ALLO SPIRITO MODERNO.
L’azione educativa della Chiesa si esercita triplicemente. Primo in modo diretto con la catechesi nell’orbita della Chiesa in forza di un diritto divino indipendente dalla società civile. Secondo in modo indiretto nella società civile con accordi presi con lo Stato, essendo l’opera educativa sotto certi aspetti mista. Terzo in modo indiretto con la creazione di scuole cattoliche.
L’educazione è un delicato operare sulla libertà umana e il suo effetto non calcolabile con certezza. Si danno splendide riuscite di scuole cattoliche ma anche esiti paradossalmente negativi. I giacobini uscirono tutti dalle scuole cattoliche. Sino alla seconda guerra mondiale vi erano paesi come la Germania che avevano scuole pubbliche divise per confessione religiosa; altri come il Canton Ticino scuole pubbliche agnostiche, altre come la Spagna che consideravano l’insegnamento religioso parte della coscienza nazionale e della tradizione culturale del paese.
Era un relitto dei sistemi politici delle monarchie assolute che incorporavano nei diritti civili degli educandi oltre ai doveri civili anche quelli religiosi.
Nel Vaticano II nella Dichiarazione Gravissimum educationis si ammettono due generi di scuole. Le prime pubbliche istituite e governate dallo Stato: hanno per fine generale lo sviluppo intellettuale, la trasmissione del patrimonio culturale e la preparazione professionale. Queste scuole hanno il principio unificante di prescindere dalla religione, principio imposto, secondo il Concilio, dal pluralismo vigente. Che il principio unificante dell’educazione debba essere di un ordine più elevato che il rispetto del pluralismo non è qui avvertito e contrasta col principio della definizione di scuola cattolica.
Lo scopo della scuola cattolica include gli scopi assegnati alla scuola pubblica, ma li trapassa e li transvalora è perché:”aiuta l’educando a svolgere la propria persona secondo la nuova creatura nata dal battesimo e ordina l’universa cultura umana all’annuncio della salvezza in guisa che tutta la conoscenza del mondo, della vita e dell’uomo sia illuminata dalla fede” (GE, n.8). E’ dunque ammesso il valore positivo dell’educazione che prescinde dai valori religiosi dell’uomo, ma rivendicato anche il diritto della Chiesa a svolgere l’opera educativa con proprie scuole. Tuttavia il diritto della Chiesa nella società civile è fondato (secondo il Concilio) sopra un principio della società civile e questo principio è la libertà in cui tutte le dottrine sono agguagliate.
La necessità della scuola cattolica è ribadita da Poalo VI il 30 dicembre 1969, ma come necessità condizionata non sgorgante. Infatti dice:” la scuola cattolica è necessaria per chi voglia una formazione coerente e completa; è necessaria come esperienza complementare nel contesto della società moderna; è necessaria ove manchino altre scuole; è necessaria anche per uso interno della Chiesa, affinché la Chiesa non venga meno nello sforzo e nella capacità di esercitare il suo fondamentale ministero, quello d’insegnare”.
Messa così sembra però una esigenza per perficiendi e perfetti e non una esigenza comune dei cristiani che possono formarsi senza la scuola cattolica. Limitando alla scuola cattolica un officio di mera integrazione e completamento rispetto alla scuola statale supposta idonea a dare alla persona l’intero svolgimento mentale e morale.

1.2 Il documento della Congregazione per l’educazione cattolica – Definisce la missione dei laici cattolici che insegnano nelle scuole statali e porta l’impronta della nuova pedagogia: ammette l’educazione come autoeducazione, celebra il progresso delle istituzioni scolastiche del mondo contemporaneo; ravvisa nella scuola una struttura essenzialmente dialogica, tace dell’autorità del maestro.  Ma è l’impianto generale del documento che patisce una difficoltà maggiore. Al n. 47 si afferma che nella scuola pubblica “ogni educatore impartisce il suo insegnamento, espone i suoi criteri e presenta come positivi determinati valori in funzione della sua concezione dell’uomo o della sua ideologia”. L’affermazione non risponde allo stato reale della scuola pubblica. In molti Paesi l’insegnante è tenuto professare una determinata ideologia impugnando soventemente la dottrina cristiana. In molti paesi è prescritto all’educatore di prescindere nell’opera sua dalle proprie persuasioni religiose e filosofiche e rispettare quelle degli alunni.
 La forza morale della scuola si desume soltanto da quell’insieme di massime che informano al società civile che si riassumono nell’etica naturale: volgersi al bene comune, riverire e onorare la patria. Ma questo atteggiamento fu possibile  finché gli Stati non abiurarono le basi della giustizia naturale in cui gli uomini si trovano accomunati e finché non adottarono il principio dell’indipendenza della persona. Fino ai tempi recenti la scuola pubblica imponeva agli insegnanti di agli insegnanti di spogliarsi alla soglia della scuola delle persuasioni personali e conformare l’opera educativa al sensus communis della morale naturale.

Questa concezione è parziale ma cattolica: la scuola solleva agli spiriti sulle passioni dividenti e li entrare in quel lume dove DOCENTI E DISCENTI AVVERTONO SOPRA IL LORO DIALOGO IL LOGO, PIU’ IMPORTANTE DEL DIALOGO, E IN QUEL SENTIMENTO PERCEPESCONO LA LOOR FRATERNITA’ VERA, L’UNITA’ PROFONDA DELLA LOOR NATURA.

Questa pedagogia presuppone la dottrina che distingue l’ordine della natura dall’ordine soprannaturale, che è abbandonato dal documento del card. Baum. Il documento passa dalla libertà di insegnamento, cioè dalla pluralità di scuole, omogenea ciascuna nel suo ambito, alla libertà degli insegnamenti nell’ambito di ciascuna scuola, nel proprio ambito, alla libertà degli insegnamenti nell’ambito di ciascuna scuola.
Il documento afferma che la scuola è un rapporto tra persone, docente e discente. LA CHIESA INVECE DICEVA CHE ERA UN RAPPORTO DI ENTRAMBI AL MONDO DEI VALORI.  Non è il maestro che deve conoscere il discepolo, ma entrambi il mondo dei valori e ad esso drizzare insieme l’occhio.
Tralascio che il pluralismo di scuole, inteso come pluralismo di insegnamenti dentro al medesima scuola pubblica lede la libertà. Bisognerebbe infatti che le famiglie potessero scegliere i docenti. Ma la scuola diventerebbe luogo di dubitazione, di contraddizione, di sperdimento intellettuale: CADE L’ESSENZA DELL’EDUCAZIONE CHE L’UNITA’ DEL SAPERE.

Se la scuola è un’istituzione in cui ogni maestro ha diritto di imprimere la sua personale ideologia, la scuola cessa di essere  una comunanza di spiriti accomunati nella superiore forma della verità. E non si può infine trascurare che in tal modo anche gli insegnanti cattolici nella scuola pubblica si troverebbero in contrasto coll’istituto della scuola pubblica per definizione vuole prescindere dallo specifico della religione.

1.3 Rifiuto cattolico dalla scuola cattolica. Mons. Leclercq – Nel Wuttenberg la DC tedesca abbandono nel 1967 la difesa delle scuole cattolica e in introdusse coi socialisti le scuole simultanee a base cristiana ma non confessionale. Il Nunzio mons. Basile commentò:” Anche la Chiesa è realmente interessata alla creazione di un sistema scolastico progressista”.

In Baviera un referendum col 75% dei suffragi introdusse nella costituzione la scuola cristiana in luogo di quella cattolica. In Italia nel ’67 dovendosi ripartire 200 miliardi per l’edilizia universitaria e avendo i liberali proposto la loro estensione alle Università libere, compresa la Cattolica di Milano, proposta cadde per l’astensione dei democristiani.
L’abbandono della scuola cattolica avviene  talvolta sotto la spinta ecumenica, talaltra sotto la spinta dell’opzione marxistica. Nel Mali, stato socialista, le scuole cattoliche aderiscono al programma marxista di educazione statale. Qualcosa del genere avvenne anche nello Stato marxista di Ceylon.
Non meno rilevanti dei fatti sono gli apprezzamenti teorici quali l’inutilità e l’insignificanza della scuola cattolica, come afferma mons. Leclercq, emerito di teologia morale di Lovanio, secondo cui essa sarebbe incompatibile con la civiltà contemporanea dominata dal pluralismo e avversa a ogni ghetto. Ma l’argomento si taglia da sé: se è pluralistico c’è spazio anche per la presenza cattolica; mentre il fatto che sia pluralistico rende necessario il suo isolamento per la sicurezza degli spiriti e per preservare la mente nell’affrontare l’opposizione che la civiltà moderna le muove. Per il Leclercq tale intento non può produrre menti aperte e persuasioni robuste. Ma la scuola cattolica ha prodotto menti, anzi generazioni di tal tempra. Si ironizza sulla sicurezza, definendola borghese, ma essa è il riflesso morale della certezza e se la certezza  attiene alla fede è un riflesso morale della salvezza. Non si può che constatare che la fede soprannaturale mette lo spirito in uno stato di riposo ma non di desistenza, semmai di consistenza su cui non può insinuarsi il dubbio.
La sicurezza su cui si fonda l’insegnamento cattolico non è fuga dal confronto già che il credente deve render ragione a chiunque della sua fede (I Pietro 3,15). Il metodo del confronto fu proprio della scolastica, all’Università di Parigi i maestri si offrivano a rispondere pubblicamente e all’improvviso alla curiosità e alle obiezioni dei discepoli e della plebe. E del resto il genere dell’apologia non sarebbe potuto nascere se la religione fosse mero isolamento.

Leclercq tocca l’epistemologia e il rapporto che corre tra tutte le parti del sistema dello scibile. L’università cattolica, dice, confessionalizza la scienza e deroga alla libertà e spregiudicatezza dell’indagine: la scienza respinge ogni irrevocabilità e eteronomia.
Nella voce del teologo risuona il razionalismo irreligioso.
Il teologo nega l’autonomia, cioè la scientificità della scienza nel sistema cattolico ma contraffà pure l’epistemologia affermando che ponendo un’altra fonte di verità oltre la scienza si rende serva la scienza. Ma essere organico non significa essere servo. Nell’organismo nessuna parte è serva sebbene coordinata con le altre e da esse dipendente. La fonte prima delle due fonti di verità, scienza e fede, è la Ragione Oggettiva, cioè il Verbo e per giudicare impossibile tenere insieme teoreticamente scienza e religione bisogna abbracciare l’una o l’altra di questa tesi: o che la Rivelazione contenga la scienza e si tornerebbe all’errore  della teologia pregalileiana; o che la ragione soggettiva non sia limitata e non ammetta scibile oltre il suo limite.

In realtà il rifiuto della scuola cattolica è il corollario di persuasioni difformi dal pensiero cattolico. Si leva alla scuola cattolica la base propria e si mette la sua essenza fuori di sé, condizionandola al pluralismo e al nullismo culturale.
Il programma elaborato a Friburgo per la riforma dei seminari svizzeri ripudia la ratio studiorum tradizionale e prescrive che “fin dall’inizio si deve dare una nozione globale affrontando i problemi posti dall’esistenza di altre credenze e dalla miscredenza in guisa che lo studente eviti il rischio dell’autosufficienza cristiana”.
E’ questo un concetto lontano dalla pedagogia cattolica. Qui si nega apertamente alla visione cristiana il carattere di concezione globale; si pretende affrontare sin dall’inizio le altre filosofie ma non si riconosce alcun criterio con cui procedere quell’affrontamento si cautelano i giovani dal prendere il cristianesimo come un quid autosufficiente e dunque pur essendo insegnamento divino non sarebbe sufficiente per sé a dare allo spirito appagamento e il riposo nella verità.
Lo si deve tenere come un’opinione bisognosa di integrarsi ad altre opinioni.
Da qui deriva la progrediente perdita di originalità della scuola cattolica che vien modellandosi sulla statale nelle strutture, nella ratio studiorum, nel calendario, in tutto. E quanto alla cultura ha abbandonato in gran parte le concezioni peculiari del cattolicesimo circa i fatti della storia, adottando i punti di vista degli avversari.

Nel 1936 contro il regime hitleriano il card. Faulhaber, arcivescovo di Monaco, disse:” Chiudere d’un tratto più di 100 scuole è più che distruggere qualche chiesa”.
1.4 La pedagogia neoterica – Il primo errore consiste nel negare e tacere la dipendenza dello spirito educando dal principio educante e nel supporre che la verità sia un risultato della creatività personale laddove invece è un lume che l’intelletto trova e non crea. L’esperienza è il mezzo di accesso  alla verità, che però non è il vissuto, ma il puro veduto. Tanto nel de magistro agostiniano che in quello tomistico si afferma che LA VERITA’ TRASCENDE DISCEPOLO E MAESTRO E L’UOMO NON LA PRODUCE MA LA SCOPRE. Il docente che già possiede attualmente il sapere, attua quello che il discente possiede potenzialmente e così fa che egli da sé stesso conosca. Rimane quindi escluso che la didattica sia autodidattica e l’educazione autoeducazione.

I punti maggiori della pedagogia cattolica sono tre. Il primo è metafisico: la distinzione di potenza ed atto ossia la non creatività delle facoltà umane; il secondo è assiologico: la superiorità assiologica di chi sa su chi non sa; il terzo è gnoseologico: il primato della conoscenza rispetto all’esperienza morale.

Il secondo errore della pedagogia neoterica è che l’insegnamento abbia per scopo diretto il produrre un’esperienza, che la via sia parimenti quella dell’esperienza e che la conoscenza astratta dal vissuto sia, come dicono, nozionismo. Ma il fine proprio e formale dell’insegnamento, inclusa la catechesi, non è produrre un’esperienza , ma una COGNIZIONE. Come per la catechesi il fine non è immediatamente un incontro esistenziale ed esperienziale con la persona del Cristo (qui oltretutto si passa alla mistica) bensì LA CONOSCENZA DELLE VERITA’ RIVELATE E DEI LORO PREAMBOLI.

L’ascendenza modernistica di questa pedagogia non sfugge a chi sa che il principio filosofico del modernismo era il SENTIMENTO che risolve in sé ogni valore e che primeggia sui valori teoretici riguardati come l’astratto di cui l’esperienza è il concreto.

1.5 La cognizione del male nella dottrina cattolica – Se la cognizione è l’esperienza, cioè il vissuto allora la cognizione del bene e sarà esperienza del bene  la cognizione del male sarà esperienza del male, cioè peccato: tutto il sistema dell’ascetica e dell’etica subisce un tracollo. Cade la distinzione tra l’ordine reale, dato nel vissuto e l’ordine ideale dato nell’intelletto.
C’è una conoscenza del male che consiste nella presenza del male alla mente e ve n’è un'altra che consiste nell’apprendersi il male all’esperienza. Ma questa seconda scienza con cui si conosce il male vivendolo non è conoscenza ama oltrepassa la conoscenza ed entra nella moralità- Lo sperimentare non si ha da confondere col conoscere né può essere l’unica fonte del conoscere. Tutta l’ascetica e la pedagogia cattolica si poggiano su questa base. E’ FALSO CHE SI DEBBA CONOSCERE IL MALE PER COMBATTERLO O MEGLIO CHE BISOGNA SPERIMENTARLO. Come dice il servo di Dio canonico Francesco Chiesa “Non dire ‘bisognerebbe trovarcisi dentro’ ”. Certe cose si conoscono meglio appunto trovandocisi dentro. La pedagogia neoterica non esplicitamente, poiché sarebbe una pedagogia del peccato, bensì tendenzialmente, mira a identificare apprendere con sperimentare. Da qui la  tendenza a togliere ogni limite all’esperienza a svincolare il discepolo dal maestro, il minore dal maggiore, l’etica dalla legge, la virtù dalla ragione.

La pedagogia cattolica dice  dell’intelligere quella moderna del vivere.
Ne deriva la libertà di mettersi in ogni esperienza per poter conoscere, la libertà rivendicata anche dai neoterici in materia di celibato ecclesiastico, di continenza prematrimoniale, di indissolubilità coniugale, di fedeltà a ogni impegno di vita. Si dice non esser giusto quell’impegno che la volontà prende senza conoscere sperimentalmente la materia dell’impegno.
La crisi della scuola cattolica è nel suo fondo una degradazione della razionalità in confronto all’esperienza e un caso di quel vitalismo proprio del mondo contemporaneo che apprezza non quel che è vero bensì quel che è vivo.

1.6 Insegnamento e autorità. La catechesi -  se si nega che la verità trascende maestro e discepolo e si risolve l’educazione in autoeducazione, si toglie dalla pedagogia l’idea di autorità.
Non stupisce che i neoterici attacchino la scuola autoritaria e pretendano che il principio di autorità non sia un principio pedagogico. Come nella morale autonoma la volontà dà legge a se stessa non ha legge, così nella pedagogia autonoma chi educa se stesso non ha autorità cui soggiaccia.
Vi è incompatibilità peculiare tra catechesi e autoeducazione. Abbattendo la verità come autorità la catechesi cessa di essere apprendimento della verità per ridursi a  ricerca della verità della verità, in stato di eguaglianza assoluta con ogni altro insegnamento.
L’enorme moto innovativo catechetico seguito al Concilio è riuscito sinora a distruggere ogni vestigio della catechesi tradizionale ma non ha prodotto né un indirizzo dottrinale comune né una qualche realizzazione positiva: non pochi catechismi pullulano di errori e stravaganze.
La catechesi neoterica crede di appoggiarsi al discorso di Paolo VI del 10 dicembre 1971 con una pedagogia ammodernata: a)occorre abbandonare i metodi eccessivamente autoritari e presentare i contenuti dottrinale con un atteggiamento, assumendo un atteggiamento più umile fraterno di ricerca della verità”. Secondo, che :”insegnare significa essere aperti al dialogo con gli alunni rispettosi della loro personalità”.
In primo punto è manifesta la confusione tra didattica ed euristica, tra comunicazione del sapere posseduto e l’inquisizione della verità, tra la cattedra e la disputa. È il caso della transizione inavvertita da un’essenza a un'altra e di implicito annullamento di esse.

Che nell’insegnare possano insinuarsi tutti i germogli dell’umana selva è possibile, ma non si insinua superbia anche nel dialogo di ricerca della verità? La verità può essere insegnata senza spirito di verità e con animo che mira a porgere se stesso e a insegnare sé stessa, ma la trattazione dei fatti umani deve andare oltre all’essenza loro. Se la verità trascende lo spirito, essa è indipendente dall’intelletto che lo pensa.
Il diallelo (ragionamento vizioso) tra maestro e discepolo alterante il rapporto naturale tra i due soggetti viene proclamato nella lettera del Segretario di Stato al Convegno Strasburgo della Union nationale des parents des écoles dell’enseignement libre: “ gli insegnanti senza dimettersi dalle loro gravi responsabilità, dovranno essere dei consiglieri, degli orientatori perché no? Degli amici. Gli allievi senza rigettare sistematicamente l’rodine e l’organizzazione, diverranno corresponsabili, dei cooperatori e in un certo senso dei coeducatori”.
La conversione del discepolo in maestro contiene virtualmente l’abolizione di ogni pedagogia e inclusivamente la denigrazione di tutta l’opera scolastica della Chiesa.
Tornando al discorso di Paolo VI sembrerebbe che l’insegnamento antecedente della Chiesa non sia stato rispettoso delle personalità e gli insegnanti né umili né pronti al servizio, ma DIALOGARE NON E’ INSEGNARE.

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