martedì 3 aprile 2012

Commento alle XXIV Tesi del tomismo: IV Tesi




IV Tesi del Tomismo: l’ente, l’essere e l’analogia

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“L’ente, che è chiamato così dall’atto d’essere, non si dice di Dio e delle  creature univocamente,
né equivocamente, ma analogicamente, di un’analogia di attribuzione e di proporzionalità”[1].

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Ente viene da “atto di essere”

1°) Il Tomismo è la metafisica che considera ogni ente alla luce dell’essere come atto ultimo e non in rapporto al divenire, all’io, all’azione, come fa la filosofia moderna.

2°) Esso risolve tutti i grandi problemi mediante la distinzione di materia/forma, potenza/atto, essenza/essere/ente dando il primato alla forma, all’atto e soprattutto all’essere, perfezione ultima di ogni altra perfezione, ente ed essenza. L’essenza creata e finita (anche quella angelica) non è il suo atto di essere, ma lo riceve e lo partecipa, essendo realmente distinta da esso. Solo Dio è l’Essere per sua essenza; ogni altro ente per partecipazione riceve ab Alio l’essere nella sua essenza creata e finita. S. Tommaso insegna esplicitamente che “l’essere è la realtà più perfetta, […] l’attualità di tutte le cose, degli enti e delle forme stesse” (S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3).

3°) L’Angelico distingue nettamente essere come atto ultimo, che perfeziona anche le essenze, dall’esistenza, che è il prodotto o l’effetto dell’essere attuante un’essenza dando così luogo al fatto o effetto o prodotto di ex-sistere dell’ente; ossia l’ente esce fuori dal nulla essendo causato efficientemente dall’essere, che perfeziona l’essenza e la rende ente esistente in atto e realmente. Ecco perché l’ente viene dall’atto di essere come insegna la IV Tesi del Tomismo.

4°) L’ente che viene dall’essere per il Tomismo non è univoco (come dicono Scoto e Suarez), ma analogo prima di analogia di attribuzione e poi di proporzionalità, come vedremo meglio dopo. Se l’essere fosse univoco, si ricadrebbe nell’errore del monismo di Parmenide (ripreso da Spinoza e dall’immanentismo moderno) già risolto da Aristotele nella Metafisica con la dottrina della distinzione reale tra potenza ed atto. Infatti ciò che è univoco viene diversificato solo da differenze estrinseche. Ora al di fuori dell’essere non c’è nulla. Quindi tutto sarebbe un solo ente: mondo e Dio.

Atto d’essere e fatto di esistere

●S. Tommaso è il filosofo dell’essere come atto ultimo di ogni essenza, forma e perfezione. Aristotele è il filosofo dell’essenze o essenzialismo. Per essenzialismo (o formalismo) si vuol intendere la filosofia che si ferma all’essenza o alla forma e non giunge all’atto ultimo di ogni essenza, forma e perfezione, che è l’atto di essere. Attenzione! Il Tomismo verace (che non si ferma all’essenzialismo o studio dell’essenze, ma lo trascende arrivando all’essere, il quale è la perfezione dell’essenza) non significa neppure ‘esistenzialismo contemporaneo’ o studio dell’esistenza concreta del singolo individuo con i suoi problemi esistenziali, ma neanche ‘esistenzialismo classico-antico’, che viene da ex-sistere ossia uscir fuori dal nulla e dalla propria causa e si ferma allo studio del fatto di esistere degli enti finiti. Il tomismo genuino non nega la positività ontologica dell’essenza o forma dei vari enti e neppure la necessità di studiare l’esistenza positiva e reale dell’ente creato che è il fatto di esistere, il quale è il semplice risultato della presenza reale e positiva dell’ente nella realtà e non va confuso con l’atto di essere, che è l’ultima perfezione metafisica di ogni forma o essenza, termine della metafisica tomistica, la quale trascende Platone ed Aristotele. Tra essere come atto ultimo ed esistere come prodotto dell’essere informante un’essenza passa la stessa differenza che tra causa ed effetto. Ora la causa non è l’effetto e quindi l’essere non è l’esistenza. Purtroppo questa verità fondamentale del tomismo è stata trascurata da molti grandi autori della terza scolastica e perciò padre Cornelio Fabro[2] ne ha fatto il suo cavallo di battaglia.

L’atto d’essere e l’ente

●L’Angelico insegna che «l’essenza, prima di avere l’atto di essere, non esiste ancora» (De Pot., q. 3, a. 5, ad 2) e che «è necessario che l’atto stesso di essere stia all’essenza, la quale è realmente distinta da esso, come l’atto alla potenza» (S. Th., I, q. 3, a. 4. Cf. De spir. Creat., a. 1). L’ente è composizione di essere partecipato (atto) ed essenza (potenza). Ne proviene che l’autentico atto di essere (esse) non va mai confuso col fatto dell’esistenza (ex-sistere), la quale è il semplice risultato, prodotto o ‘effetto’ della presenza dell’ente nella realtà, che non può assurgere alla dignità di atto metafisico, il quale è causa di esistenza. Ossia l’essenza che riceve l’essere come suo atto ultimo produce o dà luogo all’ente, il quale è realmente esistente nella realtà (ex-sistit, esce dal nulla ed entra nella realtà) grazie all’essere che attua ultimamente un’essenza. Il semplice fatto dell’esistenza o di essere presente nella realtà si può predicare anche dei difetti, delle malattie, della morte e dei peccati: tutti danni o deficienze degli enti, esistenti, ma non certo perfezione di enti o ‘enti in senso proprio’. Analogamente il poter fare il male è soltanto segno o difetto di libertà, la quale consiste essenzialmente nel poter fare il bene. Quindi il peccato o male morale è difetto o deficienza di vera libertà, come la malattia è difetto di salute, ma anche segno di presenza nella realtà o esistenza dell’ente ammalato (essentia) e non ancora morto (habens esse). Al contrario, la possibilità di peccare è il più grave limite della nostra libertà. Si pensi, per esempio, alla possibilità di un ingegnere di uccidere i cittadini, sbagliando i calcoli del cemento. L’ingegnere perfetto, invece, è colui che non sbaglia i calcoli e fa vivere tranquilli i cittadini; così l’uomo perfetto è colui che non pecca o non agisce moralmente male e fa il bene. È per questo che ente viene principalmente da atto di essere o dall’essere come atto ultimo di ogni essenza.

L’ente perfezionato dall’essere  conduce analogicamente a Dio

●È pertanto chiaro che la partecipazione degli enti all’essere (“l’ente è un’essenza avente o partecipante l’essere”) può farci risalire a Dio, secondo l’insegnamento di S. Tommaso: «Alla struttura metafisica di ogni ente per partecipazione consegue la sua dipendenza causale, o creaturale, dall’Altro» (Cf. S. Th., I, q. 44, a. 1, ad 1; ivi, ad 2). Ossia l’ente per partecipazione dipende e riceve l’essere dall’Ente per essenza o Dio. Appunto su tale partecipazione si fonda la “quarta via” tomistica, nella quale Dio è qualificato come “causa dell’essere”, ovvero Creatore di tutti gli enti (S. Th., I, q. 2, a. 3). Questo atto di essere trascende ogni essenza e forma, per cui si deve parlare del supremo atto metafisico di essere. Il termine “ente” esprime anzitutto e soprattutto l’essenza partecipante l’atto di essere (Cfr. In I Sent., d. 8, q. 4, a. 2; De Ver., q. 1, a. 1, ad 3). Ed è perciò stesso che l’ente per partecipazione, costituito dall’essere partecipato e dall’essenza, fonda il primo collegamento della dipendenza causale, o creaturale, di ogni ente finito dall’Essere infinito. Così il vero essere da San Tommaso è riconosciuto come il costitutivo metafisico proprio di Dio (“Ego sum qui sum”; “Jahweh”); il Quale, appunto per questo, è la Causa dell’essere, e dunque il Creatore, di tutti gli enti. Non è difficile, allora, vedere che l’onnipresenza creatrice di Dio negli enti presuppone ed esige la sua infinita trascendenza su di essi tutti (Cf. S. Th., I, q. 4, a. 2, ad 3; ivi, I, q. 11, a. 4, ivi, I, q. 8, aa. 1-4; ivi, I, q. 105, a. 5).

Analogia di attribuzione e di proporzionalità

●La denominazione di ente a partire dall’atto di essere, con la conseguente trascendenza di Dio sul creato, fonda anche l’analogia delle creature con il Creatore: «somiglianza dissomigliante» e «dissomiglianza somigliante». Infatti ogni ente creato è più o meno simile a Dio in virtù del suo atto di essere partecipato; ed è più o meno dissimile da Dio in séguito alla sua essenza. Di qui la distinzione tra l’analogia di attribuzione intrinseca rispetto a quella di proporzionalità, come spiega la IV Tesi del Tomismo. Essa non solo parla delle due analogie, ma nomina prima quella di attribuzione e poi quella di proporzionalità, dando implicitamente il primato a quella di attribuzione e risolvendo, così, la disputa tra il cardinal Gaetano (che concedeva il primato alla proporzionalità) e il padre domenicano Ferrarrense (che lo concedeva all’attribuzione). L’analogia di proporzionalità (il sasso, l’albero, l’animale, l’uomo e l’angelo sono analoghi a Dio, relativamente al fatto di esistere) accentua specialmente l’infinita distanza metafisica degli enti da Dio (infatti le loro essenze sono infinitamente lontane da quella divina). Invece l’analogia di attribuzione (l’essere appartiene essenzialmente a Dio e solo per partecipazione alle creature, anche se realmente e formalmente o intrinsecamente) accentua primariamente la dipendenza causale, o creaturale, degli enti da Dio (Cf. S. Th., I, q.3, a. 7, ad 1; ivi, I, q. 13, a. 5; Comp. Th., c. 130, n. 261). La IV Tesi ci insegna che non bisogna, perciò, contrapporre i due concetti di analogia, ma servirsene secondo i loro rispettivi compiti e scopi (primo: accentuare l’infinita distanza metafisica degli enti da Dio; secondo: sottolineare la dipendenza causale degli enti da Dio). “Ente viene da essere e si dice di Dio analogamente, per analogia di attribuzione e di proporzionalità” (IV Tesi). ‘Ente’ è il participio presente del verbo ‘essere’ e significa una cosa o ‘essenza’ che ‘esiste’ avendo ricevuto l’‘essere’.

●S. Tommaso insegna e dimostra che Dio è Causa prima del mondo. Quindi tra Dio e il mondo vi è un rapporto di somiglianza (omne agens agit sibi simile), ma essa è una “somiglianza dissomigliante” o analogica. L’analogia che si fonda sulla causalità efficiente ed accentua primariamente la dipendenza causale, o creaturale, degli enti da Dio è quella di attribuzione intrinseca. Quindi l’analogia più atta a farci discorrere su Dio è quella di attribuzione intrinseca, anche se l’analogia di proporzionalità serve a rimarcare la diversità infinita o sostanziale tra l’essenza degli enti creati e quella dell’Ens a se.

●Infatti l’analogia di proporzionalità[3] accentua specialmente l’infinita distanza metafisica della natura degli enti da Dio (le loro essenze sono infinitamente lontane da quella divina). Invece l’analogia di attribuzione intrinseca (l’essere appartiene per prius, come causa, a Dio e solo come effetto e per posterius alle creature, anche se intrinsecamente) accentua primariamente la dipendenza causale, o creaturale, degli enti da Dio (Cf. S. Th., I, q.3, a. 7, ad 1; ivi, I, q. 13, a. 5; Comp. Th., c. 130, n. 261; I Sent., d. 8, q. 4, a. 2; ivi, d. 19, q. 5, a. 2, ad 1; In II Sent., d. 19, q. 9°. 5; Comm Ethica, I, lectio 7, n. 95-96; De pot., q. 7, a. 1, ad 8; De Ver., q. 2, a. 11; S. Th., I, q. 105, a. 1, ad 1; Commento ai Nomi divini a cura di p. Battista Mondin, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2004, 2 voll.).

●Nell’analogia di attribuzione intrinseca vi è un analogato principale, il quale possiede una perfezione pura (per es. l’essere/la bontà …) per essenza o infinitamente e vi sono degli analogati secondari, i quali hanno la suddetta perfezione per partecipationem et non per essentiam, ossia ricevono o partecipano in maniera limitata e finita la perfezione pura (essere, bontà, verità …) dall’analogato principale che è Dio. Questa analogia di attribuzione intrinseca mette bene in risalto l’ordine di priorità e posteriorità e la dipendenza causale/effettiva tra l’analogato principale e l’analogato secondario.

●San Tommaso grazie all’analogia riesce a poter discorrere su Dio il quale è analogo alle creature, ossia sostanzialmente diverso poiché infinito, ma relativamente simile quanto all’essere, che le creature hanno limitatamente mentre solo Dio è il suo stesso essere per essenza. Negando l’analogia si tende al nichilismo teologico o apofatismo che ritiene del tutto impossibile all’uomo dire qualcosa su Dio o conoscere qualche suo attributo divino (Contra Gent., l. I, cc. 32-34; S. Th., I, q. 4, a. 3 ad 3; ivi, q. 13, a. 5).

●L’analogia riguardo alla teologia o al problema dei ‘Nomi Divini’ per il Dottore Comune (S. Th., I, qq. 12-13, Commento ai Nomi Divini di Dionigi l’Areopagita) è una predicazione unius ad alterum per prius et posterius (per es. l’essere si attribuisce a Dio e alle creature); questa è un’attribuzione intrinseca in quanto l’essere è intrinseco a Dio e alle creature, ma per prius et per essentiam al Creatore e per posterius et per partecipationem alle creature. Non è pertanto la predicazione di duorum vel plurium ad unum (per es. la salute è attribuita all’uomo, alla medicina, alla bistecca, all’aria …); quest’ultima è un’attribuzione estrinseca e la salute si trova intrinsecamente solo nell’analogato principale (l’uomo) mentre è estrinseca agli analogati secondari e non specifica alcuna priorità/posteriorità tra di loro. Mi pare allora evidente che in teologia sia più consono l’uso dell’analogia di attribuzione intrinseca che quello dell’analogia di proporzionalità. Infatti Dio è Ente e l’uomo è ente, ma prima di tutto (per prius) è Ente Dio e poi anche l’uomo (per posterius) e lo è grazie all’Ente o Essere (per essentiam o infinito) di Dio, che è ricevuto dall’ente creato (per partecipationem o limitatamente). Come si vede, l’analogia di attribuzione intrinseca esprime la presenza di Dio nelle creature come loro causa efficiente e la sua infinita trascendenza, come Esse per essentiam. Nell’analogia di proporzionalità, invece, non vi è un primo e un secondo analogato, ma tutti sono analogati senza una priorità e posteriorità.

●L’analogia si fonda sulla causalità efficiente. Ora il rapporto tra causa ed effetto comporta necessariamente una certa somiglianza tra di loro. Omne agens agit sibi simile. Quando la causa è Dio, l’effetto, essendo una creatura finita, non può essere eguale a Dio, ma vi è solo una lieve somiglianza assieme ad una grandissima dissomiglianza, e questa è una somiglianza analogica. Tutte le perfezioni che Dio comunica alle creature (anche le perfezioni pure) non hanno mai parità di possesso: esse sono possedute per essentiam o per partecipationem. Inoltre tale possesso avviene secondo un prius et posterius ossia una priorità e una dipendenza. Soprattutto per capire il significato di essere/essenza/ente (che è il cuore della metafisica tomistica ascendente a Dio e discendente da Dio) l’analogia più consona è quella di attribuzione intrinseca. Il concetto forte di essere come atto ultimo di ogni essenza e di ente si capisce meglio ricorrendo all’analogia di attribuzione intrinseca, la quale considera i rapporti tra gli analogati (rapporto di soggetto a soggetto e non rapporto di rapporti o proporzioni) secondo priorità e posteriorità. Ora l’essere come atto ha un analogato principale a cui l’esse appartiene in tutta la sua pienezza e perfezione, senza nessun limite, mentre l’esse si dice secondariamente degli analogati secondari, enti per partecipationem, dove si realizza solo parzialmente e finitamente grazie al loro rapporto con l’analogato principale da cui derivano la loro parte di essere. Non si può dire che l’intrinsecità dell’analogia di attribuzione le derivi dalla proporzionalità. Invece le viene dal rapporto tra analogato principale e analogato secondario, che è di causalità/effetto e di priorità/posteriorità. Quindi l’attribuzione è intrinseca proprio perché l’essere è attribuito per prius et causaliter all’Esse per essentiam e per posterius et effectualiter all’ens per partecipationem. L’atto di essere appartiene a tutti gli analogati, ma a pieno titolo solo all’Esse per essentiam dal quale ogni altro ente analogato secondario riceve l’esse per partecipationem. Solo Dio è il suo stesso essere (Ego sum qui sum, Jahwèh), mentre tutte le creature hanno solo una parte finita di essere dato loro da Dio. Così il rapporto di priorità e posteriorità non è soltanto estrinseco o nominale, ma intrinseco e reale, come quello che intercorre tra la causa efficiente e il suo effetto: un rapporto di partecipazione. Gli enti finiti hanno l’atto di essere perché l’hanno ricevuto dall’Esse per essentiam, che non ha l’essere, ma è l’Essere stesso sussistente, l’Esse ipsum subsistens. L’analogia di attribuzione intrinseca mette bene in luce il nesso di causa/effetto e l’ordine di priorità/posteriorità tra Dio e gli enti creati. Quindi è la sentinella più valida contro il panteismo, il quale si trova virtualmente in Scoto e Suarez per la loro concezione dell’essere come univoco e non per la buona sistematizzazione suareziana della divisione del concetto di analogia, anche se la sua concezione o definizione di analogia non può essere seguita.

●L’analogia di attribuzione intrinseca non è solo una somiglianza di rapporti o di proporzionalità, ma è una somiglianza diretta tra gli analogati. Si badi bene: questo non è un difetto ma un pregio. Ora S. Tommaso insiste specialmente nel Commento al De Divinis Nominibus di Dionigi il Mistico nell’insegnare che l’analogia più atta a parlare di Dio è l’analogia di unius ad alterum ossia quella di attribuzione intrinseca, la quale comporta tre elementi: 1°) ordine di priorità (Dio) e posteriorità (enti creati); 2°) dipendenza dell’analogato secondario (ente creato) da quello principale (Dio); 3°) somiglianza tra analogati (Dio/enti creati; altrimenti non si potrebbe dire nulla su Dio e si scivolerebbe nell’apofatismo o nichilismo teologico di Mosè Maimonide + 1204).

L’analogia come miglior critica del panteismo

●San Tommaso d’Aquino nel Commento alle Sentenze (I, d. 8, q. 1, a. 2) si pone la questione “se Dio sia l’essere di tutte le cose” e risponde che “Dio è l’essere di tutte le cose non essenzialmente ma causativamente”. Ossia Dio non è coessenziale al mondo, ma ne è la causa efficiente e realmente distinta pur essendo onnipresente. Poi lo prova distinguendo tre tipi di causalità efficiente: a) causa univoca: causa ed effetto sono identici o della stessa specie (padre e figlio); b) causa equivoca: non vi è nessuna identità reale, ma solo una certa vaga somiglianza qualitativa nominale (il sole che scalda e le pietre scaldate si somigliano quanto alla qualità del calore, ma non sono della stessa specie); c) causa analoga: vi è una certa somiglianza accidentale tra causa ed effetto (omne agens agit simile sibi) mista ad una dissomiglianza sostanziale più marcata: per esempio tra Dio e l’uomo vi è una certa somiglianza relativa al rapporto di causa/effetto, ma essi sono sostanzialmente diversi poiché Dio è ‘a Se’, l’uomo ‘ab Alio’. Da ciò risulta che Dio produce l’essere del mondo secondo una debole ed imperfetta somiglianza in rapporto alla sostanziale diversità tra loro due. Quindi “l’Essere divino produce l’essere del mondo in quanto dall’Essere infinito procede o è causato efficientemente l’essere di tutti gli enti creati” (I Sent., d. 8, q. 1, a. 2). Nella Summa contra Gentiles (Lib. III, cap. 68) l’Angelico precisa che Dio è onnipresente, ma “non si trova mescolato al mondo: Egli non è né forma né tanto meno materia di alcuna cosa, ma si trova nelle sue creature come causa agente efficiente”. Quindi il mondo e le creature possono essere chiamati “divini” solo per partecipazione e imitazione in quanto creati da Dio (S. Th., I, q. 45, a. 7; I, q. 91, a. 4). L’Aquinate elimina così anche ogni possibile equivoco immanentistico, distinguendo presenza, inerenza o immanenza da immanentismo. Così Dio non solo è l’ “Ens a Se”, ma è anche “Ens a quo omnia alia derivantur”. Come dice ancora S. Tommaso: “quod dicitur maxime tale in aliquo genere est causa omnium quae sunt illius generis” (S. Th., I, q. 2, a. 3) ossia Dio, che è l’Essere massimo, è causa di tutti gli enti; come pure “omnia quae sunt in aliquo genere, derivantur a principio illius generis” (S. Th., I-II, q. 1, a. 1, sed contra), cioè tutti gli enti derivano o partecipano dal Principio dell’ente. Perciò Dio è Ens a se a quo omnia alia sunt; mentre la creatura è ens ab alio derivans et participans.

●La Filosofia Tomistica ha compendiato il pensiero del Dottore Comune così: il vero problema è quello della coesistenza e conciliazione del finito coll’Infinito. Posto ciò, vi sono diverse scuole filosofiche: a) o si dice che Dio assorbe in Sé tutto e che non vi sono enti finiti all’infuori dell’Essere Infinito di Dio (panteismo monista); b) o, se esistono altri enti, essi si aggiungerebbero a Dio formando assieme a Lui una perfezione ancora più grande, ma questa è una falsa nozione di Dio ed equivale a negare il vero concetto di Dio (ateismo); c) tuttavia vi è una terza possibilità: l’ente finito esiste, è un fatto, ora esso suppone una Causa incausata e Infinita, poiché una serie infinita di cause finite e causate non spiega se stessa. Infatti si resta nel campo dell’effetto e non si giunge alla causa prima o spiegazione della realtà creata e causata. La creatura è distinta da Dio perché essa è finita, però tutto ciò che ha lo ha o lo partecipa da Dio, che è l’Essere per essenza e non ha l’essere da nessuno[4]. Onde, tutto quel che c’è di perfezione nella creatura è in maniera sovra-eminente ed infinita in Dio. Così la perfezione della creatura non aggiunge nulla a Dio. Dio e creature non formano “più-Essere” o un “Super-Essere”, ma solo più enti, poiché l’essere della creatura è partecipato o dato da Dio, così come, se un allievo sa qualcosa in quanto glielo ha insegnato, dato o partecipato il maestro, maestro e scolaro non fanno più scienza ma solo più scienti.

●Così a) tra panteismo (l’essere finito assorbito in Dio) e b) dualismo reale o Deismo (essere finito estraneo a Dio) vi è un a terza posizione: c) l’essere finito delle creature, che è partecipato o derivato da Dio (Essere Infinito), contiene in grado limitato quella perfezione che in Dio è Infinita. Vi sono più enti, ma non cresce l’Essere divino (contro il monismo panteista). Perciò se si esclude a) l’identità o univocità tra Dio e mondo, come pure b) la separazione assoluta o equivocità dualistica (specialmente del Deismo moderno), resta c) la partecipazione causale e analogica. Dio è distinto dagli altri enti, ma non ne è separato: in quanto Infinito è distinto dagli enti finiti, ma è anche presente dappertutto come Causa efficiente ed anche finale ed esemplare. Onde «l’ente e l’essere si dice di Dio e degli altri enti secondo l’analogia di proporzionalità propria e di attribuzione intrinseca. Dio sta al suo Essere in modo simile a come ogni altro ente sta al suo essere. Tuttavia l’Essere di Dio è essenzialmente diverso da quello degli altri enti: Dio è lo stesso Essere per sua essenza, mentre ogni altro ente riceve, ha o partecipa dell’essere. C’è quindi una certa relativa somiglianza e una sostanziale diversità tra l’essere degli enti e quello di Dio»[5].

Conclusione

●La IV Tesi distingue ente da essere e da essenza. Mostra che l’essere è l’atto ultimo di ogni perfezione. Inoltre applica analogicamente l’ente e l’essere a Dio e alle creature e ammette la duplice analogia di attribuzione e di proporzionalità, citando per prima e dando, così, il primato a quella di attribuzione. Tesi questa che non tutti, anche tra i migliori tomisti, hanno ritenuto di dover far propria (Gaetano, Garrigou-Lagrange, Tyn, Vanni-Rovighi). L’insegnamento del Magistero ecclesiastico (come abbiamo già visto parlando delle XXIV Tesi in generale, volute da S. Pio X e promulgate da Benedetto XV) ci aiuta a capire più facilmente, sicuramente e senza pericolo di errori la dottrina tomistica verace.

d. CURZIO NITOGLIA

28 marzo 2012





[1] Cfr. Summa contra Gentiles, lib. I, capp. 32-34; De Potentia, q. 7, a. 7; S. Th., I, q. 13, a. 5.

[2] La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, [1939], Segni, 2005, IV ed. Id., Partecipazione e causalità secondo S. Tommaso d’Aquino [1961], Segni, 2010, II ed.

[3] L’analogia di proporzionalità propria dice similitudine di rapporto. Ogni categoria di enti ha un suo proprio modo di essere e tra questi modi di essere c’è una certa somiglianza di rapporto. Per esempio Dio sta al suo essere, come l’uomo sta al suo, come l’animale sta al suo, come la pianta e il minerale stanno al loro. L’essenza di Dio e quella delle creature menzionate sono sostanzialmente diverse, però essi sono simili perché ognuno di loro ha l’essere che gli è proporzionato (somiglianza proporzionale e non di uno all’altro). Si tratta di una somiglianza di rapporti nel modo di avere - ognuno a modo suo - l’essere che gli corrisponde o che gli è proporzionato. Si tratta di un rapporto complesso, un rapporto di rapporti o proporzioni.
Invece nell’analogia di attribuzione intrinseca si tratta di un rapporto semplice di uno ad un altro, di Dio alla creatura, secondo causalità efficiente che comporta una dipendenza dell’effetto dalla causa e una priorità/posteriorità della causa sull’effetto. Essa è tutto il contrario del panteismo, anzi ne è la più esplicita confutazione. Infatti solo nella quarta via (fondata sul concetto di partecipazione e sull’analogia di attribuzione), nella quale Dio è qualificato come “causa dell’essere”, S. Tommaso giunge a Dio come Creatore di tutti gli enti. (S. Th., I, q. 2, a. 3). L’analogato secondario (ente) può essere concepito e definito solo in relazione all’analogato principale (Dio), che entra intrinsecamente nell’analogato secondario come sua causa efficiente. Per esempio quando si parla di ens ab alio, l’alio (che è l’Aseitas) entra intrinsecamente e direttamente nella creatura o analogato secondario e le dà una parte del suo Ens a se. Perciò essere/essenza/ente si dicono intrinsecamente e formalmente anche dell’analogato secondario, non in virtù della proporzionalità, ma dell’attribuzione che si fonda sulla causalità efficiente (cfr. R. M. Mc Inerny, The Logic of Analogy, Den Haag, 1961).

[4] Cfr. C. Fabro, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Milano, Vita e Pensiero, 1939; Id., Partecipazione e causalità in S. Tommaso, Torino, SEI, 1961.

[5] P. Carosi, Corso di filosofia, IV vol., Ontologia: Dio, Roma, Paoline, 1959, p. 228.

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