domenica 1 aprile 2012

Don Francesco Ricossa e il "protestantesimo" di Ratzinger...


Falso ecumenismo Conciliare "del non ritorno degli eretici e scismatici in seno alla chiesa Cattolica...

...Ed ora chiediamoci: che cosa significa ristabilire l'unità di tutti i cristiani? Sappiamo tutti che esistono numerosi modelli diunità e voi sapete anche che la Chiesa cattolica si prefigge il raggiungimento della piena unità visibile dei discepoli di Gesù Cristo secondo la definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti (cfr “Lumen Gentium”, nn. 8;13; “Unitatis Redintegratio”, nn. 2; 4 ecc.). Taleunità, secondo la nostra convinzione, sussiste, sì, nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta (cfr “Unitatis Redintegratio”, n. 4); la Chiesa infatti non è scomparsa totalmente dal mondo.

D'altra parte questa unità non significa quello che si potrebbe chiamare ecumenismo del ritorno: rinnegarecioè e rifiutare la propria storia di fede. Assolutamente no! Non significa uniformità in tutte le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità nell'unità: nell'omelia per la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, lo scorso 29 giugno, ho rilevato che piena unità e vera cattolicità nel senso originario della parola vanno insieme. Condizione necessaria perché questa coesistenza si realizzi è che l'impegno per l'unità si purifichi e si rinnovi continuamente, cresca e maturi.

A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è più di uno scambio dipensieri, di un'impresa accademica: è uno scambio di doni (cfr “Ut Unum Sint”, n. 28), nel quale le Chiese e le Comunità ecclesiali possono mettere a disposizione i loro tesori (cfr “Lumen Gentium”, nn. 8; 15; “Unitatis Redintegratio”, nn. 3; 14s; “Ut Unum Sint”, nn. 10-14).

Desidero anche io in questo contesto ricordare il grande pioniere dell'unità, padre Roger Schutz, che è stato strappato alla vita in modo così tragico. Lo conoscevo personalmente da tempo e avevo con lui un rapporto di cordiale amicizia.

Mi ha spesso reso visita e, come ho già detto a Roma, il giorno della sua uccisione ho ricevuto una sua lettera che mi è rimasta nel cuore perché in essa sottolineava la sua adesione al mio cammino e mi annunciava di volermi venire a trovare. Ora ci visita dall'alto e ci parla. Penso che dovremmo ascoltarlo, ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarcicondurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo interiorizzato e spiritualizzato.

Vedo un confortante motivo di ottimismo nel fatto che oggi si sta sviluppando una sorta di"rete" di collegamento spirituale tra cattolici e cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali: ciascuno si impegna nella preghiera, nella revisione della propria vita, nella purificazione della memoria, nell'apertura della carità.

Il padre dell'ecumenismo spirituale, Paul Couturier, ha parlato a questo riguardo di un"chiostro invisibile", che raccoglie tra le sue mura queste anime appassionate di Cristo e della sua Chiesa. Io sono convinto che, se un numero crescente di persone si unirà interiormente alla preghiera del Signore "perché tutti siano una sola cosa" (Gv 17, 21), una tale preghiera nel nome di Gesù non cadrà nel vuoto (cfr Gv 14, 13; 15, 7.16 ecc.).
(dal discorso tenuto da Benedetto XVI ai rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali, nell’arcivescovado di Colonia, il 19 agosto 2005, durante la Giornata Mondiale della Gioventù)

...Oggi il dialogo ecumenico non può più essere scisso dalla realtà e dalla vita nella fede nelle nostre Chiese senza recare loro danno. Quindi volgiamo insieme il nostro sguardo all'anno 2017, che ci ricorda l'affissione delle tesi di Martin Lutero sulle indulgenze cinquecento anni fa. In quell'occasione luterani e cattolici avranno l'opportunità di celebrare in tutto il mondo una comune commemorazione ecumenica...


(L'udienza del Pontefice a una delegazione della Chiesa unita evangelica luterana di Germania
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Sotto l'articolo notizie sull'istituto Mater Boni consili... 
“Il Concilio Vaticano II è stato e restun autentico segno di Dio anche per i nostri tempi”. Lo hsottolineato Benedetto XVI, nel videomessaggio che haperto oggi a Lourdes l’incontro nazionale dellChiesfrancese per celebrare i 50 anni dall’apertura del Concilio. “Se noi siamo in grado di leggere e interpretare il suo messaggio all’interno delltradizione dellChiese nel solco del suo magistero – hsottolineato in particolare PapRatzinger – il Concilio si rivelerà anche ai giorni nostri ungrande forzper il futuro dellChiesa” ed “io auspico vivamente che questo anniversario siper voi e per tuttlChiesoccasione di rinnovamento spirirtuale e pastorale”. Un rinnovamento che “richiede un’aperturancorpiù grande allpersona del Cristo e unriscoperta dellparoldi Dio per realizzare unconversione profonddei nostri cuori, per consentirci di andare ancorper le strade di tutto il mondo a proclamare il Vangelo dellsperanzalle donne e agli uomini dei nostri tempi, in un dialogo che deve essere rispettoso di tutti“. Nell’auspicio, hconcluso Benedetto XVI, “che questo tempo di grazipossaanche consolidare comunione all’interno dellgrande famiglia dellChiescattolice contribuiscallritrovatunità frtutti i Cristiani che è stato uno degli obbiettivi principali del Concilio”.
Fonte: TMNews 24/03/2012

RATZINGER PROTESTANTE? AL 99 %!
di don Francesco Ricossa
Sarebbe passato inosservato, tranne che per gli addetti ai lavori, se il mensile “30 Giorni” ed il settimanale “Il Sabato”, legati a Comunione e Liberazione, non gli avessero dato risalto. Un risalto meritato.

Intendo parlare dell'intervento che il “Cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede”Joseph Ratzinger ha tenuto a Roma il 29 gennaio 1993 presso il Centro evangelico di cultura della locale comunità valdese.

Il testo integrale dell'intervento di Ratzinger e quello del prof. Paolo Ricca, valdese, si può leggere nella rivista “30 Giorni” n. 2 Febbraio 1993, pagg. 66-73, pubblicato sotto il titolo redazionale (ma significativo) di “Ratzinger, il prefetto ecumenico”. Questa lettura dev’essere completata con l'intervista accordata dal teologo luterano Oscar Cullmann a “Il Sabato” n. 8, 20 febbraio 1993 pagg. 61-63, pubblicata sotto il titolo redazionale (ed altrettanto significativo) di: “Il figlio di Lutero e sua eminenza”.
Per i lettori di “Sodalitium” presento un riassunto delle idee del “Card.” Ratzinger (che ha fatto a Mons. Guérard des Lauriers l'onore di “scomunicarlo”) sulla Chiesa e l'ecumenismo. Chiunque può verificare le fonti sulle riviste citate. E constatare se Ratzinger è ancora cattolico oppure, come palesemente appare, non lo è più.

Cullmann parla per bocca di Ratzinger
Quando Papa S. Leone Magno, tramite i suoi legati, intervenne al concilio di Calcedonia, i Padri del Concilio dissero: “Pietro parla per bocca di Leone”.
Leggendo l’intervento di Ratzinger presso i Valdesi e l’intervista di Cullmann si può dire che questi parla per bocca di Ratzinger. Le parole sono di Ratzinger, le idee di Cullmann. Per cui non c’è da stupirsi che i Valdesi “siano d’accordo al 99%, per non dire al 100%” (RICCA, “30 Giorni”, pag. 69).

Ma chi è Cullmann?
Cullmann nacque nel 1902 a Strasburgo, patria del riformatore protestante Bucer al quale egli volentieri si richiama (“Il Sabato”, pag. 61). Alsaziano, egli vede in questo un “fatto provvidenziale” in quanto la sua popolazione è, in quel luogo, metà cattolica e metà protestante.
Studiò teologia “sotto la guida di Loisy a Parigi” (ARDUSSO. FERRETTI. PASTORE. PERONE. La Teologia contemporanea. Marietti 1980, pag. 108). L’esegeta modernista e scomunicato non fu certo buon maestro. Ancor meno lo fu il Bultmann, “il grande demitizzatore dei Vangeli” (“Il Sabato”, pag. 63), col quale presentò la tesi di laurea sulla “Formgeschichte”. “Bultmann disse che era la miglior presentazione della sua Formgeschichte” (Pag. 63). In seguito si separò “radicalmente” da Bultmann, poiché costui mediava la lettura della Bibbia tramite la filosofia (esistenzialista) mentre Cullmann non accettava nessuna mediazione. Con ciò Cullmann non abbandona affatto l’approccio protestante alla Scrittura, e neppure “il metodo della storia delle forme” (Formgeschichte methode) di Bultmann, secondo il quale “compito dell’esegeta è scoprire il nucleo essenziale della Bibbia: Cullmann lo trova nella storia della salvezza” (ARDUSSO, op. cit. pag. 110).
Insegnò tra l’altro alla libera facoltà di teologia protestante di Parigi (1948-72) ed alla facoltà Teologica Valdese a Roma. Partecipò al Concilio Vaticano II come osservatore e Paolo VI lo definì “uno dei miei migliori amici” (“Il Sabato”, pag. 62). “Durante il Vaticano II Cullmann, ospite personale del Segretariato per l’unità dei cristiani, contribuiva a determinare l’orientamento biblico, cristocentrico e storico della teologia conciliare (...) più recentemente Cullmann ha proposto un modello di ‘comunità di Chiese’ nel suo libro ‘Unità attraverso la diversità’(Brescia 1988), modello apprezzato pure dal cardinale Ratzinger nel suo intervento alla chiesa valdese di Roma il 29 gennaio scorso” (pag. 62). Conobbe Ratzinger durante il Concilio, stimandolo “il miglior teologo tra i cosiddetti periti, gli esperti... Con una reputazione di progressista spinto” (pag. 63). Da allora i due
sono in corrispondenza, dapprima su problemi esegetici; in seguito - dichiara Cullmann - « il carteggio si è ingrandito, specialmente in relazione alla proposta del mio modello di “unità mediante la diversità”, una proposta che, come abbiamo già detto, il Cardinale ha apprezzato in privato e in pubblico » (pag. 63). Cullmann si rallegra particolarmente di una lettera nella quale Ratzinger gli scrive “di aver sempre imparato” dai suoi studi, “anche quando non era d’accordo”. E Cullmann commenta: “Uniti nella diversità” (pag. 63).
L’opera di Cullmann (…) è da annoverarsi tra quelle che maggiormente hanno contribuito al dialogo tra cattolici e protestanti” (ARDUSSO, op. cit., pag.112) pur restando egli fermamente attaccato all’eresia, negando esplicitamente l’infallibilità della Chiesa Cattolica, e il primato di giurisdizione di Pietro e dei suoi successori (cf. ARDUSSO, op. cit., pag. 112; “Il Sabato”, pag.
62). Un ponte quindi tra cattolici e protestanti. Per far diventare protestanti i cattolici (facendo loro credere, per di più, di restare cattolici: “uniti” sì, ma… “nella diversità”!)
La Conferenza ai valdesi
Già docente a Roma nella facoltà valdese di teologia, Oscar Cullmann conosce bene i valdesi insediati a Roma. È forse lui che li ha proposti al suo “discepolo” Ratzinger come un buon uditorio per esporre e lanciare le loro idee comuni.
Il tema dell’incontro del 29 gennaio tra Ratzinger ed il prof. Ricca (protestante valdese) era duplice. Innanzitutto quello dell’ecumenismo in generale e del Papato, in seguito, quello della testimonianza. Più precisamente: che soluzione ecumenica dare alla questione del Papato; come rilanciare l’ecumenismo in crisi; come dare una testimonianza comune.
Mi sembra di non tradire il pensiero di Ratzinger riassumendolo nei punti seguenti, salvo commentarli più diffusamente in seguito;
1) L’ecumenismo è necessario, fondamentale, indiscutibile.
2) Il Papato ne è il problema.
3) L’ecumenismo ha un fine ultimo: “L’unità delle chiese nella Chiesa”.
4) Questo fine ultimo si realizzerà in forme a noi ancora sconosciute.
5) L’ecumenismo ha anche un fine prossimo, “una tappa intermedia” il cui modello è “l’unità nella diversità” di Cullmann.
6) Questa tappa intermedia si realizza mediante un continuo “ritorno all’essenziale”…
7) … favorito da una reciproca purificazione tra le chiese.
 
L’Ecumenismo
L’ecumenismo è irreversibile”, ama ripetere Karol Wojtyla. Joseph Ratzinger va oltre: “Dio è il primo agente della causa ecumenica” e “l’ecumenismo è innanzitutto un atteggiamento fondamentale, un modo di vivere il cristianesimo. Non è un settore particolare, accanto ad altri settori. Il desiderio dell’unità, l’impegno per l’unitàappartiene alla struttura dello stesso atto di fede perché Cristo è venuto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (“30 Giorni”, pag. 68). 
“L’ecumenismo” (o “riunione dei cristiani”. Pio XI) non è concepito come  “ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero l’infelice idea di staccarsi” (Pio XI, Lett. Enc. Mortalium Animos, del 6/1/1928), non è neppure un metodo, o una iniziativa, tra le altre, dell’attività della Chiesa. Esso è fondamento della vita cristiana ed elemento costitutivo dell’atto di fede. Non si può essere fedele senza essere ecumenista (per Ratzinger); non si può essere fedele se si è ecumenisti (per Pio XI): “Chi dunque tien mano a cotesti tentativi ed ha di queste idee, con ciò stesso, per conseguenza manifesta, si allontana dalla religione rivelata da Dio” (Pio XI, Mortalium Animos).
Lucidamente, il valdese Ricca espone il problema (senza che Ratzinger lo contraddica): “La crisi dell’ecumenismo sostanzialmente è dovuta al fatto che le chiese non sono cambiate abbastanza a motivo dell’ecumenismo. (…) Perché l’ecumenismo certo esige, con la pazienza di cui parlava il cardinale Ratzinger, dei cambiamenti profondi. A un certo punto, o cambia la chiesa o l’ecumenismo entra in crisi. (…) Si capisce che questo discorso vale per tutte le chiese” (“30 Giorni”, pag. 71). Insomma: o perisce la Chiesa, e vive l’ecumenismo; o vive la Chiesa e perisce l’ecumenismo (poiché mutare sostanzialmente, per la Chiesa, è perire). Ora l’ecumenismo è irreversibile: quindi la “Chiesa” (com’è ora, com’era soprattutto prima del Concilio) deve perire. Di qui la questione del Papato, che deve cambiare con la Chiesa, o perire.

Il Papato: “l’ostacolo maggiore per l’ecumenismo”
Paolo VI dixit. Lo ricorda con compiacimento, l’eretico Ricca: “Il Papato, si sa, è un nodo cruciale della questione ecumenica, perché da un lato fonda l’unità cattolica e dall’altro, per esprimermi un po’ brutalmente impedisce l’unità cristiana [leggi: l’ecumenismo n.d.a.]. Questo lo ha riconosciuto molto coraggiosamente, devo dire, il papa Paolo VIin un discorso del 1967, in cui, appunto, ha detto (credo che sia l’unico Papa che l’abbia detto) che il Papato è l’ostacolo maggiore per l’ecumenismo. Un nobilissimo discorso [lo dice un eretico! n.d.a.] fra l’altro non soltanto per questa affermazione, ma per tutto l’insieme. Qui ci troviamo dunque, con il Papato, davanti a una vera e propria empasse” (“30 Giorni”, pag. 70). Dunque, se un dogma di Fede (solo il Ricca ricorda che si tratta di un dogma) che, per giunta, “è il fondamento dell’unità cattolica” è un’ostacolo, anzi è l’ostacolo per l’ecumenismo, Paolo VI, Ratzinger e tutti noi dovremmo concludere che l’ecumenismo deve perire. Perché è impossibile che una verità rivelata da Cristo per fondare l’unità voluta da Cristo possa essere l’ostacolo… all’unità! [Infatti il Papato, non è ostacolo, ma è l’unico mezzo per aver parte all’unità dell’unica Chiesa: “Nessuno sta in questa sola Chiesa di Cristo, nessuno ci persevera se non riconosca ed accetti l’autorità e la potestà di Pietro e dei suoi legittimi successori” (Pio XI, Mortalium Animos)].
Ratzinger lo sa e non può parlare liberamente come il suo “collega” (come egli chiama il Ricca).
All’inizio, pertanto, scantona: «Io penso che il Papato sia senza dubbio il sintomo più palpabile dei nostri problemi, ma è ben interpretato solo se viene inquadrato in un contesto più ampio. Perciò penso che, affrontato immediatamente [com’era anche nella “scaletta” dell’incontro n.d.a.] non conceda facilmente una via d’uscita (“30 Giorni”, pag. 66)». Insomma: se si parla del Vaticano I, l’utopia ecumenica muore sul nascere, gli equivoci si dissipano, Cullmann stesso non sarebbe più d’accordo, i veri cattolici mangerebbero la foglia. Quindi, si mena il can per l’aia e si lancia la formula di Cullmann: “Unità nella diversità” (ci ritorneremo).
Alla fine però deve pur arrivare al problema del Papato. E cosa propone? Non certo il primato di giurisdizione che la Fede attribuisce al Papa.
Secondo la nostra Fede” spiega Ratzinger “il ministero dell’unità è affidato a Pietro e ai suoi successori” (“30 Giorni”, pag. 68). Ma in cosa consiste questo “ministero dell’unità?” Ratzinger non lo dice. Per la Chiesa consiste nel primato di giurisdizione (autorità) del Papa su tutti i singoli fedeli.
Per Cullmann consisterebbe al massimo (bontà sua!) in un primato di onore (il che è un’eresia: DS 2593): “Considero il servizio petrino un carisma della Chiesa cattolica, dal quale anche noi protestanti dovremmo imparare” - dichiara a “Il Sabato” - ma poi prosegue: «Il Papa è vescovo di Roma e in quanto tale gli si potrebbe concedere una presidenza in quella “comunità delle chiese” da me prospettata. Personalmente vedrei un suo ruolo come garante dell’unità. Lo si potrebbe accettare se non avesse la giurisdizione su tutta la cristianità ma un primato di onore» (“30 Giorni”, pag. 62).
Per Ricca, ci sono tre possibilità: “O il Papato resta e resterà (...) più o meno quello che è oggi (...) e allora dobbiamo pensare che, appunto, l’unità sarà un dono finale che ci sarà dato quando Cristo tornerà [cioè: “Noi sotto il Papa? Mai e poi mai!” n.d.a.]. Seconda possibilità è che il Papato cambi. Cambi in una sorta di riconversione ecumenica del Papato. (...) Finora sono stato al servizio dell’unità cattolica; da ora in avanti mi metto al servizio dell’unità cristiana (…) [Papa = presidente di una nuova chiesa ecumenista n.d.a.].
La terza ipotesi invece è che il Papa resti quello che è, ma non si proponga come centro e fulcro dell’unità cristiana, ma semplicemente come centro dell’unità cattolica. (…) Le chiese potrebbero (...) riconoscersi reciprocamente come chiese di Gesù Cristo, realmente unite tra loro e realmente diverse tra loro, dandosi un appuntamento periodico in un Concilio veramente universale (…) [Papa = capo di una chiesa cristiana tra le altre unite in un consiglio ecumenico n.d.a.] (“30 Giorni”, pagg. 70-71).
Per Ratzinger in cosa consiste il ruolo del Papa? L’ho detto: egli tace, o meglio non ribadisce la fede cattolica (prima ipotesi di Ricca) e lascia intravvedere la terza ipotesi come tappa intermedia e la seconda come meta finale.Per l’intanto, ricorda come “le chiese ortodosse” (eretiche e scismatiche n.d.a.) “non dovrebbero cambiare nel loro interno molto, quasi niente, nel caso di una unità con Roma” (“30 Giorni”, pag. 68) “e che nella sostanza”, questo “vale non solo per le chiese ortodosse, ma anche per quelle nate nella Riforma” (“30 Giorni”, pag. 69) al punto che egli studiò, con amici luterani, vari modelli possibili di una “Ecclesia catholica confessionis augustanæ” (“Chiesa Cattolica di confessione augustana”, che segue cioè le eresie protestanti della “Confessione augustana”, sorta di “credo” protestante presentato dall’eresiarca Melantone a Carlo V) (cf. “30 Giorni”, pag. 68).
Tutto ciò non assomiglia alle proposte (eretiche) di Cullmann e di Ricca (versione seconda)? Avremmo una Chiesa presieduta dal “Papa”, con un ramo “ortodosso” che resta “ortodosso” ed un ramo protestante che resta protestante. D’altra parte, per Ratzinger, gli “ortodossi” (e, mutatis mutandis, i protestanti) “hanno un modo diverso di garantire l’unità e la stabilità nella comune fede, diverso da come lo abbiamo noi nella Chiesa cattolica dell’Occidente” (cioè, per gli “ortodossi”, liturgia e monachesimo) (“30 Giorni”, pag. 68).
Ora, chi non vede che liturgia e monachesimo presso gli ”Ortodossi” (come la Bibbia presso i protestanti) non sono affatto sufficienti a garantire l’unità e la Fede? Difatti, malgrado la liturgia, il monachesimo e la Bibbia essi sono scismatici (senza unità) ed eretici (senza fede)! Voler ridurre i dogmi di fede e l’azione per preservarli con la condanna dell’errore (da noi istituzionalizzata nel S. Uffizio di cui è Prefetto il Papa) a delle caratteristiche peculiari non della Chiesa Cattolica = universale, ma di un suo ramo occidentale (e romano), è aberrante! E non sono certo le citazioni del teologo “ortodosso” Meyendorff (che critica l’universalismo nella sua forma romana, ma critica anche, come dice, il regionalismo come si è formato nella storia delle chiese ortodosse”. Ratzinger in “30 Giorni” pag. 68) che danno al “prefetto ecumenico” una patente di cattolicità. Meyendorff, in fondo, ripropone l’aberrazione di Ricca: le chiese, tutte le chiese, anche la Cattolica, devono cambiare profondamente per assicurare l’ecumenismo.
Insomma, Pio XI aveva messo il dito nella piaga quando scrisse (si direbbe che parlava di Cullmann): “Alcuni ammettono e concedono che il Protestantesimo, per esempio, troppo precipitosamente si disfece di certi capi di fede e di alcuni riti del culto esterno che, al contrario, la Chiesa Romana ritiene ancora. Ma subito aggiungono che questa pure però ha fatto cose che sono venute a corrompere la religione antica, aggiungendo e proponendo a credere dottrine non solo aliene dal Vangelo ma contrarie ad esse, come, si affrettano a dire, il Primato di giurisdizione attribuito a San Pietro ed ai suoi successori nella fede di Roma. C’è pure chi si lascerebbe andare a concedere al Pontefice Romano un primato d’onore, o fin una certa giurisdizione o certo potere: non son molti però; soltanto esigono si dica che ciò avviene per consenso dei fedeli e non per diritto divino. Non manca chi addirittura ha il pio desiderio di vedere a capo di questi congressi, diciamo così, variopinti, lo stesso Papa! D’altronde, di acattolici che si riempiono la bocca con queste prediche di unione fraterna, ne trovi molti; a nessuno però passa per il capo di sottomettersi ed obbedire all’insegnamento, al comando del Vicario di Cristo” (Pio XI, Mortalium animos). Come si vede, dal 1928 ad oggi, i Protestanti non hanno fatto un solo passo avanti, mentre abbiamo dovuto vedere ben altro che la presenza del “Papa” ai “variopinti congressi” degli acattolici. 
Fine ultimo: l'unità della Chiesa
Ma torniamo a Ratzinger. Per non abbordare il problema del Papato, inizia il discorso dall'ecumenismo. In esso “la finalità ultima è, ovviamente, l’unità delle chiese nella Chiesa unica” (“30 Giorni”, pag. 66). È “l’unità della Chiesa di Dio alla quale tendiamo” (“30 Giorni”, pag. 67). Il fine verso cui Ratzinger ci vuole indirizzare, è falso in partenza. Se la “Chiesa è unica”, che ci stanno a fare “le chiese”? Questa “unica Chiesa” è, o non è, la Chiesa Cattolica? O la Chiesa Cattolica è una delle “chiese” che devono, in un futuro, unirsi (sempre più) nella “Chiesa unica”? Nel primo caso (Chiesa unica = Chiesa Cattolica): il fine è già raggiunto, la Chiesa è già “una”, l’ecumenismo non ha scopo se non quello dell’abiura, da parte degli eretici e scismatici, dai loro errori, e le “chiese” sono solo sette e conventicole che non devono unirsi ma sparire.
Nel secondo caso (Chiesa unica = unione più o meno stretta di “chiese” più o meno diverse) Ratzinger ci propina l’errore condannato da Pio XI in “Mortalium Animos”: “A questo punto val la pena d’individuare e toglier di mezzo l’errore, in cui si fonda la questione e da cui partono le idee e le iniziative molteplici degli acattolici, relative all’unione delle Chiese cristiane. I fautori di essa hanno per vezzo di tirar fuori ogni tanto Gesù che dice: “Tutti sìano una cosa sola… si farà un ovile ed un pastore” (Giov. XVII, 21; X, 16); quasi che in queste parole il desiderio e la preghiera di Gesù sian restati senza effetto. Pensano che l’unità di fede e di regime - note distintive della Chiesa - non sia in fondo mai esistita prima di ora, enon esista oggi; la si può ben desiderare e forse pure raggiungere con un poco di buon volere comune, ma intanto, così come stanno le cose, è un’idea e non altro. Aggiungono: la Chiesa per sè, cioè di natura sua, è divisa in parti, vale a dire consta di più chiese o comunità particolari, le quali, disgiunte come sono, son d’accordo soltanto in qualche capo di dottrina, ma nel resto divariano e ciascuna ha i suoi diritti” (cf.Encicliche proibite, Marini ed. Roma 1972, pag. 81-82).
Il “prefetto ecumenico” può spiegarsi? Per lui l'unica Chiesa di Cristo esiste già, ed è la Chiesa Cattolica, o no?

Come sarà la Chiesa del futuro?
Purtroppo, temo che si sia già spiegato. Il fine ultimo (l’unione nella Chiesa delle chiese) ènel futuro, un futuro lontano e… sconosciuto.
“Questo quindi lo scopo, la finalità di ogni lavoro ecumenico: arrivare alla unità reale della Chiesa [che ora non esiste? Che è solo apparente? Irreale? N.d.a.], la quale implica pluriformità in forme che non possiamo ancora definire” (“30 Giorni”, pag. 66). E altrove: “Io non oserei per il momento suggerire per il futuro realizzazioni concrete, possibili e pensabili” (“30 Giorni”, pag. 68).
Ricca ha, protestanticamente, molto apprezzato queste espressioni di Ratzinger. Perché coincidono col suo pensiero. Dopo aver ricordato gli otto secoli di lotte tra valdesi e cattolici, Ricca aggiunge: allora, “perché siamo insieme? Siamo insieme perché, se è vero che sappiamo bene chi siamo, e abbastanza bene chi siamo stati, non sappiamo invece ancora chi saremo. E la stessa riservatezza del cardinale nel non proporre modelli, cioè, appunto, nel non sapere, è proprio quell’atteggiamento che, in fondo, ci lega” (“30 Giorni”, pag. 69). Uniti, valdesi e seguaci del Vaticano II, nel non sapere comesarà la Chiesa! (Perché, come spiega Ricca, o le chiese cambiano o l’ecumenismo muore). Che un protestante si riconosca nell’idea di una futura Chiesa sconosciuta, passi. Ma un cattolico? Come si concilia tutto ciò con l’indefettibilità della Chiesa? Quale altro modello di Chiesa si può proporre ai protestanti se non quello voluto da Cristo e fondato su Pietro? Come può un “cardinale” non sapere come deve essere la Chiesa, quando Cristo l’ha fondata da duemila anni?
Si direbbe che Ratzinger ha della Chiesa la concezione che Teilhard ha di Dio: la Chiesa non esiste… ancora; è in evoluzione… verso il suo punto Omega, la meta finale dell’ecumenismo.

L’unità nella diversità
La Chiesa quindi sarà una (nella pluriformità). Nel futuro. Dio solo sa quando. E nel frattempo? Nel frattempo c’è “un tempo intermedio” (“30 Giorni”, pag. 66): “unità nella diversità”. «Questo modello – spiega Ratzinger - si potrebbe secondo me esprimere con la formula ben conosciuta della “diversità riconciliata”, e su questo punto mi sento molto vicino alle idee formulate dal caro collega Oscar Cullmann» (“30 Giorni”, pag. 67). Quale sia il modello-Cullmann lo abbiamo già visto. Come lo proponga Ratzinger lo vedremo qui di seguito. Basti dire che Ricca ha capito al volo: “Desidero anzitutto dichiarare - ha replicato - che, rispetto a quello che ha detto ora il Cardinale Ratzinger, sono d’accordo al 99% per non dire al 100%. Anzi, mi rallegro e mi compiaccio. Su questa base si può costruire: lo stesso concetto di diversità riconciliata, come sapete, è di matrice luterana” (“30 Giorni”, pag. 69). Ratzinger pertanto ci vuol condurre ad una sconosciuta chiesa plurimorfa partendo da un fondamento di matrice luterana.

Ritorno all’essenziale.
Ma come si realizza, concretamente, questa “diversità riconciliata”? Non si tratta, ammonisce Ratzinger, di “essere contenti della situazione che abbiamo”, di rassegnarsi statisticamente ad essere diversi (pag. 68).
Occorre invece, dinamicamente, perseverare “nell’andare insieme, nell’umiltà che rispetta l’altro, anche dove la compatibilità in dottrina o prassi della chiesa non è ancora ottenuta; consiste nella disponibilità ad imparare dall’altro e a lasciarsi correggere dall’altro, nella gioia e gratitudine per le ricchezze spirituali dell’altro, in una permanente essenzializzazione della propria fede, dottrina e prassi, sempre di nuovo da purificare e da nutrire alla Scrittura, tenendo lo sguardo fisso al Signore...” (“30 Giorni”, pag. 68).
Quanti controsensi in poche righe!
Come si può “andare assieme” se si pensa e si agisce in modo diverso?
Come può la “Cattedra della Verità”, la Chiesa di Cristo, imparare (qualche cosa che
già non conoscerebbe) e addirittura farsi correggere dagli eretici? Come si può “rispettare” l’eresia e lo scisma, cioè il peccato? poiché è in quanto eretiche e scismatiche che le sètte protestanti o “ortodosse” si distinguono da noi.
Ed infine, cosa significa “essenzializzare” (permanentemente!) la fede? L’idea è al centro del pensiero di Ratzinger (e non solo): “la ricerca del wesen, dell’essenza del cristianesimo, è una ricerca tipica della teologia tedesca da oltre un secolo a questa parte. Basti pensare alle opere di L. Feuberbach (1841), di A. Harnack (1900), di K. Adam (1924), di R. Guardini (1939), di M. Schmans (1947), e alla recente proposta di K. Rahner circa una formulazione sintetica del messaggio cristiano. Analogamente ai tentativi sopra ricordati, la ricerca di Ratzinger sull’essenza del cristianesimo porta chiaramente l’impronta del tempo nel quale è nata, quel tempo che è ormai da più parti designato come “l’età post-cristiana della fede”, caratterizzata non tanto dalla negazione di questa o di quell’altra verità di fede, quanto piuttosto dal fatto che la fede nel suo complesso sembra aver perduto il suo mordente, la sua capacità di interpretare il mondo, di fronte ad altre visioni che paiono dotate se non altro di maggior efficacia operativa” (ARDUSSO, op. cit., pag. 457).
In realtà, ogni tentativo di “essenzializzare” la fede rischia di distruggere la Fede stessa. Contro gli ecumenisti, già scriveva Pio XI: “Inoltre, per ciò che spetta alle verità da credere, non è lecito affatto introdurre quella distinzione che dicono tra punti fondamentali e non fondamentali; gli uni da credersi assolutamente, gli altri liberi e che si possono permettere all’assenso dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede ha per causa formale l’autorità del rivelatore, Iddio; e questa causa non ammette distinzioni di quella sorta. Tutti i veri cristiani, quindi con la stessa fede con cui credono il dogma della SS. Trinità, credono il dogma dell’Immacolata Concezione; e come all’Incarnazione del Signore, così pure all’infallibile magistero del Romano Pontefice, in quel senso, s’intende, in cui è stato definito dal Concilio Ecumenico Vaticano. Per il fatto che queste verità sono state dalla Chiesa sancite e definite solennemente in età diverse, ed alcune in epoca recente, non possono perciò stesso dirsi men certe e meno da credersi: non le ha tutte rivelate Iddio?” (Mortalium animos).
Ratzinger non spiega chiaramente quale sarebbe l’essenziale della fede, e cosa invece è “sovrastruttura” (in ARDUSSO op. cit. pag. 458, sarebbe essenziale “presentarsi come la chiesa della fede al totale servizio degli uomini liberandosi da sovrastrutture che ne offuscano la genuinità del volto”).
Nella sua replica conclusiva precisa però che il suo “pensiero coincide con quello del Professor Ricca” (“30 Giorni”, pag. 72) sulla «parola “essenzializzazione”. Dobbiamo realmente ritornare al centro, all’essenziale, o, con altre parole: il problema del nostro tempo è l’assenza di Dio e perciò il dovere prioritario dei Cristiani [assieme: cattolici e acattolici, n.d.a.] è testimoniare il Dio vivente» (“30 Giorni”, pag. 73). Certo, così i cristiani di tutti i generi (o quasi!) saranno d’accordo su quel minimo che è l’esistenza di Dio, “la realtà del giudizio e della vita eterna” (pag. 73); e questo “imperativo”, per forza, “unisce”, perché “tutti i cristiani sono uniti nella fede di questo Dio che si è rivelato, incarnato in Gesù Cristo” (“30 Giorni”, pag. 73). (Per la condanna di questa idea di una comune testimonianza si veda sempre Mortalium Animos).

Reciproca purificazione.
Ma come avviene, praticamente, la continua “essenzializzazione” (che Congar – ricorda Ricca - chiamava “ressourcement”)?
Per Ratzinger questo processo, positivo, viene dalle altre “chiese”. La Chiesa Cattolica sarebbe così continuamente purificata... dalle sètte eretiche. Per cui, in attesa dell’unità (pluriforme), è bene che ci sia la diversità (riconciliata).
«“Oportet et haereses esse” dice San Paolo. Forse non siamo ancora tutti maturi per l’unità ed abbiamo bisogno della spina nella carne, che è l’altro nella sua alterità, per risvegliarci da un cristianesimodimezzato, riduttivo. Forse è il nostro dovere l’essere spina l’uno per l’altro. Ed esiste un dovere di lasciarsi purificare ed arricchire dall’altro. (...) Anche nel momento storico nel quale Dio non ci dà l’unità perfetta, riconosciamo l’altro, il fratello cristiano, riconosciamo le chiese sorelle, amiamo la comunità dell’altro, ci vediamo insieme in un processo di educazione divina nella quale il Signore usa le diverse comunità una per l’altra, per farci capaci e degni dell’unità definitiva” (“30 Giorni”, pag. 68).
Quindi, secondo Ratzinger Dio vorrebbe le “eresie” (mentre solo le permette, come permette il male); anzi, Dio vuole, provvisoriamente, le divisioni, le diverse comunità, perché una perfezioni l’altra. La Chiesa Cattolica sarebbe quindi “risvegliata” “purificata”, “arricchita” e non più “dimezzata” grazie alle sètte eretiche di cui si serve il Signore. E viceversa, la Chiesa Cattolica svolgerebbe lo stesso ruolo nei confronti delle altre chiese. Tutte, dialetticamente, in marcia verso l’indefinita unità futura di una Chiesa sconosciuta che risulterà da questo processo.
Modello, ma solo modello, di questa Chiesa futura è la Chiesa primitiva, la quale era unita “nei tre elementi fondamentali: Sacra Scrittura, regula fidei, struttura sacramentale della Chiesa” (“30 Giorni”, pag. 66) e, per il resto, era diversissima. Non era unita anche sotto il magistero ed il governo del Papa? E, pur nelle diversità locali, non aveva la stessa fede, cosa che non avviene con i protestanti e gli ortodossi?
Ratzinger ci chiede di aderire ad una chiesa futura sconosciuta modellata su di una chiesa antica falsata per abbandonare, in realtà, la Chiesa eterna ed immutabile di Cristo.
Conclusione: Pio XI giudica Ratzinger.
Se Ratzinger non sa verso quale modello futuro vadano queste chiese “spina-nella-carne” che si “essenzializzano” le une con le altre, glielo dirà Pio XI. Il Papa si pronunciò in quell’enciclica che Ratzinger stesso osò dichiarare conforme al Vaticano II (!), “Mortalium animos”.
La teoria ecumenista, o pancristiana come si diceva allora, “spiana la via al naturalismo e all’ateismo” (pag. 79) prepara “una pretesa religione cristiana che è lontana le mille miglia dalla sola Chiesa di Cristo” “è la via alla negligenza della religione o indifferentismo, e al modernismo” “è una sciocchezza e una bestialità”. Ma non gettiamo su Ratzinger tutta la colpa. Egli non è che il fedele interprete del Vaticano II, come d’altra parte Karol Wojtyla. È quello il corpo estraneo
che bisogna espellere e che le forze sane della Chiesa, sposa di Cristo, indubitabilmente rigetteranno. Quanto a noi, vogliamo appartenere alla Chiesa Cattolica e non alle elucubrazioni eterodosse di Oscar Cullmann e del suo discepolo (diversamente unito e unitamente diverso) Joseph Ratzinger.

da Sodalitium n. 33, Aprile 1993

Fonte: Non possumus

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