martedì 15 maggio 2012

AMERIO - IOTA UNUM - LA VIRTU' DELLA SPERANZA




Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.

CAP. XIX  - LA VIRTU’ DELLA SPERANZA

1.1    Ibridazione di fede e speranza. Hebr. II. Ragionevolezza delle virtù soprannaturali – 

L’abbandono della base intellettuale della fede scambiata con una tensione altera la natura della Rivelazione che non è più scoperta di verità inattingibili dalla sua naturale forza intellettiva, ma diventa una tensione o impulso che sovratende le sue energie verso l’infinito.
La confusione si innesta s’innesta sopra la persuasione che l’adesione ai dogmi soprannaturali sia cosa facile o più facile dell’adesione pratica. Ma quell’adesione intellettuale implica un superamento totale della parte suprema dell’uomo che involge un saltus soprannaturale che è un atto che  tutta la persona fa con l’intelletto.
Poiché il pensiero moderno prende la fede come una tensione, propende a fare della fede una sorta di speranza, sofisticando l’ordine delle primalità e traslocando la fede dall’ordine conoscitivo a quello appetitivo. L’equivoco della speranza con la fede discende dall’esistenzialismo e crede trovare appoggio in Ebrei, 11,1 tradotto da Dante in Par. XXIV, 64-5 “fede è sustanza di cose sperate/ ed argomento de le non parventi”. Tutti i Padri hanno rettamente inteso che la fede è il sostrato e il fondamento della speranza.
M ai moderni hanno rovesciato e invertito l’ordine e fatto la fede figlia della speranza. L’uomo, dicono, si lancia con la speranza  verso un mondo di valori r poi quei valori sperati li fa oggetto di credenza e di certezza. Lo stravolgimento della fede in speranza si è infiltrato nei documenti dei Sinodi nazionali con definizioni stravaganti al limite del vaniloquio come la proposta del Sinodo ticinese secondo cui:” la fede è dire a sé stessi e a Dio la propria speranza”.

Si può forse dire che la fede è esperienza di Dio e lo dissero in senso non retto i modernisti, dimenticando che esperienza di Dio non si dà in questa vita che per grazia particolare la quale fonda la teologia mistica.
Anche Giovanni Paolo II, parlando ai teologi, insegnò che “l’uomo trascende i limiti della conoscenza puramente naturale e fa un’esperienza di Dio che gli sarebbe altrimenti preclusa” . E spiegò, richiamandosi a san Tommaso, che l’esperienza di fede è un fatto essenzialmente intellettivo:” l’uomo può raggiungere una qualche intelligenza dei misteri soprannaturali grazie all’uso della ragione, ma solo in quanto essa si appoggia sul fondamento incrollabile della fede, che è partecipazione alla conoscenza stessa di Dio e dei beati comprensori”. Ora si dirà che l’uomo mentre è in via ha l’esperienza dei beati?
Si crede  alla rivelazione perché Dio esiste ed è verace, Si spera l’eterna salvezza e il perdono dei peccati perché Gesù Cristo ce li ha meritati e sostiene il nostro volere. Si ama Dio perché è infinito bene infinitamente amabile e si ama il prossimo, che non è infinitamente amabile, perché si ama l’infinitamente amabile che ha fatto per amore il non infinitamente amabile. Infine si prova dolore e pentimento  dei peccati perché si è offeso Dio e  perché lo si è perduto come felicità.
La ragionevolezza signoreggia tutti gli atti della religione cattolica che non si appoggia mai sull’uomo, creatura e dipendente, ma su Dio e sull’indipendente.

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