venerdì 11 maggio 2012

IOTA UNUM - ROMANO AMERIO - LA VIRTU' DELLA FEDE






Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.

CAP. XVIII – LA VIRTU’ DELLA FEDE

1.1   Rifiuto della teologia naturale – 

La negazione della primalità del conoscere rispetto alla primalità della vita è penetrata dentro la Chiesa estesamente. La dottrina dei preamboli razionali alla fede, cioè che “Dio uno e vero, creatore e Signore, può essere conosciuto con certezza dal lume naturale dell’umana ragione” viene oggi dubitata, epocata, negata. Le virtù soprannaturali di speranza e di carità perdono così la loro base diventando categorie il cardinal Garrone faceva risalire la crisi della fede  all’incapacità della vitalità.
Al congresso dei teologi italiani a Firenze del 1968 il card. Garrone faceva risalire la crisi della fede all’incapacità di offrire all’uomo contemporaneo una nozione di Dio che abbia senso per lui. Ravvisava nella teologia cattolica un eccesso di filosofismo e teoreticità “Nell’ultimo secolo i teologi sono stati portati ad affermare al capacità la capacità della ragione umana di provare l’esistenza di Dio …I teologi hanno abbandonato Dio nelle mani dei filosofi. Noi dobbiamo riconoscere che CI SIAMO INGANNATI, perché abbiamo chiesto alla filosofia quel che non ci poteva dare … dobbiamo ritrovare gli attributi di Dio, non le idee astratte della filosofia, mai nomi, i veri nomi di Dio. Abbiamo la missione di pregare non le idee, ma la fede”.
L’autorità della persona non prescrive al diritto del fedele di confrontare l’insegnamento dei particolari ministri con l’insegnamento della Chiesa universale.  Qui si nega quel che il Vaticano I insegna sulla capacità della ragione. Perciò non basta dire “noi ci siamo ingannati” ma bisognerebbe dire “la Chiesa si è ingannata”.
Superfluo è il notare la scaturigine modernista della sentenza del cardinale, giacché è  proprio del modernismo fondare la credenza sopra un sentimento e un’esperienza del divino anziché sul preambolo della certezza razionale, e tenere che la ragione non può elevarsi a Dio né riconoscere l’esistenza di Dio in quel qualunque modo.
Sul settimanale Amica, il teologo Pisoni il 7 luglio ’63 scrive che “la ragione umana può certamente da sola dimostrare la possibilità dell’esistenza di Dio”.
Posizione che è il rovescio della posizione della Chiesa. La ragione prova non soltanto la possibilità dell’esistenza di Dio, ma la realtà di tale esistenza. Cioè che l’esistenza di Dio non ripugnerebbe alla ragione.
La Chiesa non insegna che l’esistenza è possibile ma che è reale. Di fronte alle verità naturali, oggetto dell’intelligibile, la ragione apprende  e vede. Di fronte alle verità soprannaturali la ragione non apprende, ma ha per officio che non ripugnano alla ragione.

1.2   La virtù teologica della fede – 

L’indistinzione tra la sfera dell’intelligibile porta con sé una contraffazione della dottrina cattolica delle virtù teologali.
La ragione non può arrivare a dimostrare le verità soprannaturali, come la Monotriade, l’uomo-Dio, la resurrezione della carne, la presenza reale nell’eucaristia. Questi sono veri proposti per Rivelazione e apprensibili soltanto per fede. Ma l’atto di fede non rimane privo, del suo carattere ragionevole. La ragione riconoscendosi finita vede che aldilà del suo limite possono esistere dei veri conoscibili ma non apprensibili per evidenza razionale.
La fede è la virtù soprannaturale, propria della virtù del conoscere, per la quale l’uomo, oltrepassando il proprio limite, assente a quel che non vede perché sta oltre il limite. Per la dottrina cattolica la fede è una virtù dell’uomo, al quale risiede nell’intelletto, come la carità nella volontà.
Il motivo della fede è da un lato nella finitudine dell’intelletto, dall’altro nella autorità della parola divina. Ma l’autorità della parola divina è un elemento razionalmente conoscibile: non è sulla autorità di Dio che lo spirito umano riconosce l’autorità di Dio ma da un’argomentazione che trova l’autorevolezza della Rivelazione esaminando analiticamente il concetto steso di Dio. Ogni autorità nel sistema cattolico è un fatto della ragione perché la ragione si sottomette vedendo essa stessa la ragionevolezza di tale sottomissione. L’autorità divina è poi il criterio che prevale su ogni criterio. Le cose credute dal cristiano sono certissime perché il fondamento del crederle non giace in qualcosa della creatura bensì nella verità del pensiero divino.

1.3   Critica della fede come ricerca. Lessing – 

Per la teologia neoterica la nota della fede anziché la stabilità dell’assenso è la mobilità della perpetua ricerca. Si giunge a dire che una fede autentica deve entrare in crisi, traversare la tentazione, allontanarsi quanto possibile da uno stato di riposo. Si giunge  a dichiarare desiderabile la moltiplicazione delle obiezioni che “stimolano rivedere le certezze”.
Tale concezione dinamica della fede deriva prossimamente dal modernismo per il quale la fede è funzione del sentimento.  Remotamente deriva dalle filosofie trascendentali germaniche, mentalità cui diede espressione il Lessing in Eine Duplik: “Se l’infinito e onnipotente Iddio mi desse facoltà di scegliere tra il dono chiuso nella sua destra, che è il possesso della verità, e il dono chiuso nella sua sinistra, che è al ricerca della verità, io pregherei umilmente: o Signore, dammi di cercare al verità, perché il possederla è soltanto per te”.
La parte erronea di questa concezione sta nel prendere per umiltà una disposizione d’animo che è di squisita SUPERBIA. Chi alla verità preferisce la ricerca della verità, preferisce il proprio moto soggettivo e l’agitazione vitale dell’Io, rispetto a quel valore su cui dovrebbe fermarsi. Vi è dunque una posposizione dell’Oggetto al soggetto.
L’ERRORE PER CUI SI STIMA PiU’ LA RICERCA CHE IL POSSESSO DELLA VERITA’ E’ UNA FORMA DI INDIFFERENTISMO, che Giovanni Paolo II ha trafitto così:” Indifferentismo verso al verità è ancora di ritenere più importante per l’uomo cercare la verità che raggiungerla, giacché questa in definitiva gli sfugge irrimediabilmente” (OR 25 agosto 1983). A questo errore consegue quello di “confondere il rispetto dovuto ad ogni persona, qualunque, qualunque siano le idee che  professa, con la negazione dell’esistenza di una verità obiettiva”.

1.4   Critica della fede come tensione. I vescovi francesi – 

La fede, si dice, consiste in una tensione dell’uomo verso Dio.
In un documento del 1968 dell’episcopato francese si affermava; ”per tanto tempi si è presentata la fede come adesione dell’intelletto illuminato dalla grazia e sostenuto dalla Parola di Dio. Oggi si giunti a una concezione più conforme dell’insieme della Scrittura. La fede si presenta allora come un’adesione di tutto l’essere alla persona di Gesù Cristo. Essa è un’adesione di tutto l’essere alla persona di Cristo. Ella è un atto vitale e non più solamente intellettuale…e non sarebbe messa in pericolo da difficoltà teoriche nei dettagli”. Poiché la fede è tale tensione vitale, essa sussiste, indipendentemente da quel che si crede, purché sussista la tensione.
E’ una teoria che si scosta dalla tradizione. Certo la religione è una disposizione dell’intera persona e non solo dell’intelletto, ma l’atto di fede è un atto che la persona fa specificamente con l’intelletto. La fede è una virtù dell’uomo del genere del conoscere e non del tendere. La religione si integra sì di tutte tre le virtù teologali ma il suo fondamento è la fede, non  la tensione cioè la speranza. La religione è anche un tendere a Dio ma che consista di per sé in una tensione è un falso. Primo perché tale tensione si rifarebbe a una qualunque esperienza religiosa; secondo si confà al titanismo dove lo sforzo umano si rivolge non a riverire la divinità ma a sfidarla e abbatterla. La tensione anzi si confà in sommo grado a all’esperienza religiosa di Satana il quale tendeva con tutte le sue forze a Dio, non per adorarlo, ma per esserlo. La nota vera della religione è la soggezione e il principio che la costituisce è quello della dipendenza. Il principio della tensione è un principio di autoposizione  e di indipendenza.

1.5   Motivo e certezza della fede – 

I neoterici sul motivo della credenza religiosa sostengono che il motivo del credere è l’integrazione perfetta della persona umana e l’interezza dell’appagamento ricercato dall’uomo. Motivo legittimo ma non motivo primo della teologia cattolica giacché il fine della religione non  è l’appagamento dell’uomo ma l’adempimento del fine della creazione, che è Dio stesso.
Il fine che Dio assegna all’uomo è la giustizia, cioè l’adesione alla volontà divina, ma proprio in questo fine si nasconde il fine che Dio si propone nell’assegnare all’uomo per condurlo alla beatitudine. Nella prospettiva dell’uomo il primum deve essere la giustizia. La beatitudine consiste nell’essere perfettamente giusto: ”beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno satollati” (Mt, 5,6).
Anche il fondamento della fede sta tutto fuori del soggetto. Essendo cosa rivelata la mente umana non può trovarla né verificarla. La sola maniera possibile di fondare quella certezza è di ricevere quel vero spostando dal lato del soggetto al lato del Oggetto i motivi della certezza.
Credere  di fede cattolica è sapere fermissimamente che contro le verità credute non vale argomento trovato o trovabile; è sapere che non solo sono insussistenti, false e solubili le obiezioni accampate contro di esse, ma che saranno insussistenti, false e solubili quelle che saranno accampate nell’avvenire in secula seculorum.

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